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LIVING THEATRE #teatro #sperimentazione #rivoluzione

Creato il 20 febbraio 2014 da Albertomax @albertomassazza

living theatreNell’immediato dopoguerra, a New York, Julian Beck e Judith Malina, una coppia di aspiranti artisti poco più che ventenni con qualche migliaia di dollari a disposizione, si erano messi in testa di intraprendere una carriera teatrale. Nonostante gli imput provenienti dagli ambienti dell’avanguardia newyorkese gravitanti attorno alla figura di John Cage, i due giovani non intendevano creare un teatro sperimentale, quanto intraprendere un percorso tradizionale che avrebbe dovuto avere, come sbocco naturale, Broadway. Ben presto, la coppia si rese conto delle difficoltà di una simile impresa, tra burocrazia da rispettare e necessità di crearsi un pubblico, senza esperienza e preparazione adeguate. Così, decisero di riporre le ambizioni ufficiali, per rivolgersi alla ricerca di forme teatrali innovative. Sempre alle prese con le autorità preposte al rispetto delle rigorose norme di sicurezza dei locali adibiti allo spettacolo e per questo costretti a cambiare sovente la sede, i due, ormai divenuti Living Theatre, riuscirono comunque ad avere una discreta continuità di rappresentazioni, per il momento incentrate sulla parola poetica, ma senza destare particolare attenzione nel pubblico e nel mondo culturale.

Nella seconda metà degli anni ’50, i due iniziarono ad interessarsi al metateatro, indagando sul rapporto tra realtà e finzione. Nacquero in questo modo i primi lavori che diedero risonanza alla loro ricerca. Nel 1955 misero in scena con successo Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, ancora semisconosciuto in America. Seguì Many loves di W.C. Williams, piece che affrontava le tematiche omosessuali. Con The Connection di Jack Gelber del 1960, il Living Theatre sviluppò il lavoro sull’improvvisazione e sul coinvolgimento non convenzionale del pubblico, mettendo in scena l’universo dei tossicodipendenti, senza soluzione di continuità tra la realtà e la finzione. Quest’ultimo lavoro fu influenzato dalla lettura de Il teatro e il suo doppio di Antonin Artaud, anche se la loro interpretazione del geniale teorico francese rimase ad un livello concettuale, senza svilupparne le intuizioni attoriali e antropologiche, come stavano facendo contemporaneamente e con esiti differenti Grotowski e Carmelo Bene. La crudeltà artaudiana divenne il veicolo per far emergere le contraddizioni e la violenza della società, generata dal rapporto incestuoso tra profitto e progresso, consenso e libertà d’espressione.

Il primo banco di prova per questa nuova prospettiva del Living Theatre fu la messa in scena di un testo scritto da un ex marine che denunciava il sadico sistema di vessazioni e punizioni a cui venivano sottoposti i militari. La rappresentazione della violenza doveva essere, secondo Julian Beck, quanto di più possibile vicino alla realtà, in modo da coinvolgere gli spettatori, inducendoli a un nuovo rapporto con la società, non più di passiva accettazione, ma di rifiuto e critica radicale. Queste intenzioni non passarono inosservate davanti all’occhio del potere che cominciò ad attenzionare il gruppo come elemento di sovversione. Nell’impossibilità di trovare precise responsabilità, senza dover minare il diritto alla libertà d’espressione, le autorità riuscirono a bloccare il Living Theatre facendo leva su una presunta evasione fiscale di alcune decine di migliaia di dollari. Nonostante le proteste di tutto il mondo della controcultura americana, Beck e Malina vennero processati e condannati al carcere. Rilasciati, dopo alcuni mesi di reclusione, i due decisero di abbandonare gli Stati Uniti e trasferirsi in Europa.

Il periodo europeo, durato dal 1964 al 1970 e segnato dal nomadismo tra i maggiori centri della cultura del vecchio continente, fu decisamente il più fecondo del Living Theatre, con la produzione di quattro spettacoli, secondo la formula del work in progress: l’idea di partenza veniva via via sfrondata e radicalizzata, tenendo conto delle reazioni del pubblico, al fine di ottenerme il più completo coinvolgimento. Il gruppo divenne un fenomeno di culto nell’Europa delle contestazioni giovanili, con happening davanti a migliaia di persone. Il primo lavoro, Misteries and smaller pieces, presentato a Parigi nel 1964, era una discesa agli inferi della società dei consumi, per riemergere nel paradiso dell’armonia cosmica, dopo un passaggio catartico nella peste artaudiana. Il successivo Frankenstein, probabilmente il lavoro più strutturato dal punto di vista teatrale, rappresentava con pessimismo la sfida e la manipolazione  dell’uomo nei confronti della natura. Con Antigone, ispirato alla rilettura brechtiana del dramma sofocleo, gli attori,identificati con i tebani, inducevano il pubblico ad identificarsi a loro volta con gli argivi, loro nemici, a significare la responsabilità di tutta la comunità di fronte alla  guerra. Paradise Now, tra sincretismo mistico e agit-prop rivoluzionario, sviluppava nel modo più completo uno dei concetti base della visione di Julian Beck: la deteatralizzazione del teatro, ovvero il definitivo abbandono degli spazi e delle regole tradizionali, per una forma di spettacolo che abbattesse radicalmente i confini tra scena e pubblico. Questo lavoro, maturato in parte nella Parigi del maggio ’68, venne censurato al Festival di Avignone di quello stesso anno, proprio per la sua potente carica destabilizzante e contestatrice.

Durante la terza e ultima ripresa di Paradise Now, a seguito di dissidi interni, il gruppo decise di scindersi in quattro cellule di intervento e di sparpagliarsi in giro per il mondo. Beck e Malina teorizzarono un “teatro di guerriglia” che si ponesse l’obiettivo di effettuare degli interventi rivoluzionari nei luoghi dove erano maggiormente evidenti le contraddizioni della società capitalista e la repressione del potere. La prima esperienza, nel Brasile della dittatura militare, finì con l’arresto e l’espulsione come persone non gradite. Dopo la morte di Julian Beck, avvenuta nel 1985 per tumore, Judith Malina ha continuato la sua attività didattica e performativa in giro per il mondo.

Sebbene la loro ricerca sui mezzi espressivi dell’attore risulti decisamente meno profonda di quelle, per fare due nomi, di Grotowski e Barba, l’influenza del Living Theatre nella scena contemporanea è stata fondamentale nel proporre un teatro organico alla società, in grado di incidere sulla creazione di una coscienza collettiva. Difficile pensare ad esperienze come il “Baratto culturale” dello stesso Barba, le azioni teatrali di Scabìa o le evoluzioni en plein air dei Fura dels Baus, senza il percorso pionieristico del Living Theatre. Più interessante della ricerca attoriale, è stato il lavoro sulle soluzioni scenografiche, con l’utilizzo di impalcature suddivise in ripiani e riquadri che rendevano possibile la rappresentazione simultanea di azioni diverse, ottenendo uno straniante effetto cinematografico.



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