Lo chiamavano “Cretinetti”. Il difficile esordio di Dino Buzzati

Creato il 20 aprile 2013 da Sulromanzo

[Articolo pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 2/2013, La difficoltà dell'inizio. Il coraggio del primo passo]

«Nessuno si ricorda quando fu costruita la casa dei guardiaboschi del paese di San Nicola, nella Valle delle Grave, detta anche la Casa dei Marden. Da quel punto partivano cinque sentieri che si addentravano nella foresta. Il primo scendeva giù per la valle verso San Nicola e a poco a poco diventava una vera strada. Gli altri quattro salivano fra i tronchi, sempre più incerti e sottili, fino a che non rimaneva più che il bosco, con gli alberi secchi rovesciati per terra e tutte le sue vecchissime cose. E sopra, a Nord, c’erano le bianche ghiaie che fasciano le montagne».

Così inizia Bàrnabo delle montagne, opera prima di Dino Buzzati (Belluno, 1906 – Milano, 1972). Pubblicato nel 1933, quando lo scrittore era al Corriere della sera da ormai cinque anni, Bàrnabo già presenta molti di quelli che saranno i temi principali e lo stile delle opere successive di Buzzati: atmosfera fiabesca, ambientazione montana, dove gli spiriti della natura sono vivi, presenti e attivi; l’uomo vive in una realtà ambigua, nella quale l’anormalità presente non è affatto un problema, semmai una complessità positiva, un valore aggiunto; l’attesa, il tempo che scorre, tra paure, ambizioni e sconfitte, verso un indefinito futuro, angosciante pensiero che accompagnerà quest’autore per tutta la vita.
Già dall’anno precedente all’uscita della sua prima fatica Dino Buzzati aveva iniziato a pubblicare racconti.
Scriveva per il settimanale Il Popolo della Lombardia col quale aveva cominciato a collaborare dal 1931 come autore di note teatrali e racconti, ma soprattutto come illustratore.
Ciò, tuttavia, non gli ha assicurato il successo, tutt’altro. Ma d’altronde, forse, non era con quest’opera che Buzzati sperava di ottenere la fama. Ancora troppo acerbo e insicuro, pur ricordando che Bàrnabo delle montagne «fu veramente un grosso lavoro», qualche anno dopo lo stesso autore ricordò in un’intervista che questo «è l’unico libro che ho scritto pensando che non sarebbe mai stato pubblicato».

Il romanzo di Bàrnabo, o meglio sarebbe dire il racconto lungo, venne, invece, pubblicato. Il “realismo fiabesco” di Buzzati, spesso accostato a quel “realismo magico” di un Bontempelli allora già maturo, piacque molto a Ciro Poggiali, capocronista del giovane scrittore al Corriere della sera. Fu questo collega (anche se qui le fonti discordano, alcuni parlano del collega Orio Vergani) a darsi molto da fare per aiutare il Buzzati a trovare un editore. Fu raggiunto un accordo con Treves, storica casa editrice, una delle maggiori in queglianni, e il libro uscì. L’esordio non fu di grande successo: quasi ignorato dalla critica e dai colleghi dei quotidiani, il libro venne venduto in poche copie. C’è da dire che neanche il momento storico era dalla sua parte, poco propenso a recepire le “favole” dello scrittore bellunese in un periodo in cui la gente, semmai, cercava concretezza: in quegli anni, l’Italia assisteva, e in buona parte accoglieva, il consolidarsi del Fascismo al potere, mentre, nel resto del mondo, si accumulava tutta una serie di eventi che avrebbero portato, di lì a qualche anno, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

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