Se Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato pareva una “scampagnata” formato familiare, diversamente Lo Hobbit – La desolazione di Smaug assume toni cupi e maligni, cavalcando la dimensione del coraggio e ostentando un villain maestosamente enorme.
Bilbo, Gandalf e i 12 nani continuano nel loro viaggio ma, a un passo dalla meta, Gandalf deve abbandonare il gruppo per affrontare prove più impegnative da solo. I nani raggiungono Pontelagolungo (paese alle pendici della montagna) e Thorin Scudodiquercia, deciso a riprendersi ciò che gli spetta di diritto, sceglie di non aspettare il mago e proseguire nella sua impresa.
Jackson riadatta Tolkien, lo riscrive e calca la mano in favore di un trilogia che assume sempre più le proporzioni di un preambolo di ciò che abbiamo potuto già ammirare con i film de Il signore degli anelli. Difatti l’operazione tentata del regista neozelandese è quella di “allungare il brodo”, ampliare temi e contenuti di un libro (Lo Hobbit), che Tolkien aveva trattato con leggerezza e che non aveva nessuna correlazione con il suo capolavoro (scritto vent’anni dopo) Il signore degli anelli. E il tentativo, se nella prima pellicola sembrava pretestuoso e arrogante, nel secondo episodio prende forma e assume le dimensioni di una vicenda epica a tutti gli effetti. Una prova di forza non solamente dal punto di vista visivo (Jackson insiste con l’intenzione di girare l’intero film in 48 fotogrammi anziché con i canonici 24, scelta che “pulisce” inverosimilmente l’immagine, facendola apparire paradossalmente finta, posticcia), ma anche dal punto di vista narrativo. Perché la “compagnia” dei nani, capitanata da Thorin Scudodiquercia con l’aggiunta dello scassinatore mastro Baggins, va incontro a un male assoluto, incarnato dal drago Smaug, dietro il quale si cela un potere ancora più forte in grado di divorare il Mondo intero.
Ne Lo Hobbit – La desolazione di Smaug si respira aria di terrore, la fotografia cambia tonalità cromatica (l’oscurità la avvolge) e lo spettatore si sente catapultato all’interno di un microcosmo riconoscibile, che ha già saputo assaporare e amare. È questo il punto di forza di una pellicola che non porta con sé contenuti edificanti o particolarmente introspettivi, ma si trascina appresso un’aura epica ed emozionale, nella quale entra a far parte Bilbo, personaggio che cambia il suo atteggiamento e che diviene parte attiva di una vicenda che, precedentemente, l’ha visto (a tratti) in disparte. Il suo coraggio (e il suo “tesssoro”) divengono peso e misura di un viaggio che lo mette di fronte a esperienze mai vissute e a decisioni che lo trasformano da pedina a eroe senza macchia.
Lo Hobbit – La desolazione di Smaug è uno spettacolo dinamico e coinvolgente, che ha un obiettivo ben preciso: sostenere e traghettare la vicenda fino al climax conclusivo, nel quale appare Smaug (nell’originale doppiato da Benedict Cumberbatch), un mostro dalle dimensioni e dalla caratterizzazione maestosi. Un villain degno di questa etichetta, che catalizza l’attenzione dello spettatore (e di Bilbo) negli interminabili (e pregnanti) 40 minuti finali.
Ora l’attesa è spasmodica e il terzo capitolo è alle porte; Jackson saprà stupirci ancora una volta?
Uscita al cinema: 12 dicembre 2013
Voto: ***1/2