Lo psicologo in ospedale

Da Psytornello @psytornello

Oggi desidero introdurre un tema a mio avviso molto importante: quello dell’assistenza psicologica in ospedale
Ma assistenza psicologica per chi?
– per i pazienti;
– per i familiari;
– per il personale medico e paramedico.

I pazienti dovrebbero sempre più essere considerati nella loro globalità (fisico-psichica) e non solo come macchine rotte da riparare, soprattutto nei casi di patologie importanti che possono generare disagi emotivi e relazionali. La comparsa della malattia rappresenta la rottura di un equilibrio e, a seconda della sua gravità, modifica in maniera più o meno significativa la vita del paziente e dei suoi familiari.
L’area “critica” è rappresentata da pazienti affetti da gravi patologie mediche e/o chirurgiche, acute o croniche; ad esempio: quelli con malattie organiche, croniche, a prognosi infausta (Dialisi, Cancro, AIDS, Sclerosi M, Alzheimer, altre patologie croniche ed invalidanti); quelli sottoposti a importanti interventi chirurgici (mutilazioni, chirurgia speciale, politraumi ecc.); quelli ricoverati presso i reparti di terapia intensiva e/o semintensiva (Neurochirurgia, Patologia Neonatale e Terapia Intensiva Pediatrica, Centro Ustioni, ecc.); quelli impegnati nei programmi di trapianti d’organi e successiva riabilitazione (cuore, polmone, fegato, cornee, ecc.).
La sofferenza psicologica può scaturire non solo della diagnosi ricevuta ma anche delle cure che il soggetto è costretto a sostenere (pensiamo ad esempio ai cicli di dialisi o di chemioterapia…): è per questo che il supporto di uno psicologo, oltre a migliorare la qualità di vita del paziente, può rendere più “umana” l’assistenza fornita dagli operatori sanitari.

Sì, perché anche i medici ma in generale tutto il personale ospedaliero va supportato nel relazionarsi ai malati e ai loro familiari. Comunicare una diagnosi particolarmente grave, veder morire un paziente, confrontarsi quotidianamente con la sofferenza e il dolore rappresentano una fonte di stress molto elevata che può causare un calo dell’efficienza lavorativa, fenomeni di assenteismo e, nei casi più gravi, una vera e propria sindrome di burn out.
Essa si manifesta quando l’operatore sanitario, sopraffatto dallo stress, sente venir meno entusiasmo ed interesse per il proprio lavoro, a fronte di una crescente insoddisfazione e frustrazione. Anche l’empatia nei confronti delle persone di cui dovrebbe occuparsi diminuisce drasticamente.
Il supporto psicologico può aiutare il personale medico e paramedico a migliorare l’efficacia dei propri interventi e la qualità delle relazioni non solo con i colleghi ma anche con i pazienti e i loro familiari.

E’ sempre bene tenere a mente il ruolo fondamentale dei familiari di un malato. Essi sono indispensabili nei lunghi percorsi di riabilitazione, nell’assistenza a pazienti colpiti da patologie particolarmente gravi e a prognosi infausta o a pazienti non autosufficienti e quindi completamente dipendenti.
Il supporto psicologico è utile per consentire al familiare non solo di affrontare la malattia del proprio caro ma anche le ripercussioni che questa può indurre su tutto il sistema di relazioni. E’ orientato a favorire l’adattamento alla malattia, per migliorare la qualità di vita dei componenti dell’intera famiglia. In particolare la persona deputata a prendersi cura del paziente (caregiver) necessita di uno spazio di ascolto e cura individuale e/o di gruppo.

E ora la parola a voi. Vi siete trovati nel ruolo di paziente, personale medico/paramedico o di familiare di un malato ricoverato in ospedale? Avete avuto un supporto psicologico? Lo avreste voluto? Credete vi sarebbe stato utile? In che modo?
Volete condividere la vostra esperienza? Potete scrivermi e inviarmi la vostra storia: sarà pubblicata qui sul blog.


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