C'era una volta una cosa con un potere immenso. Era un appuntamento fisso, inesorabile, da cui non si poteva scappare. Era argomento delle pause pranzo, delle cene, delle serate con gli amici, delle telefonate. Nei giorni che lo precedevano, poi, l'attesa diventava febbrile, spasmodica: si moltiplicavano i talk show che svisceravano il dettaglio più insignificante, illustri sconosciuti battibeccavano con l'unico scopo prefissato di far passare il tempo. La febbre proseguiva con vigore ancora maggiore dopo il suo svolgimento: l'Italia si divideva e litigava sul responso finale per qualche giorno, prima di tornare a sonnecchiare. Erano momenti strani, ma in qualche modo coinvolgevano tutti, anche i più ritrosi, ed era proprio questo il bello. Tutti prendevano una posizione, e anche una non-posizione era una scelta. Sembrerà strano, ma quelli erano i giorni in cui la democrazia viveva e pulsava maggiormente.
Col tempo, però, la formula che aveva funzionato per tanti anni iniziò a logorarsi. La gente, anno dopo anno, iniziò a disinteressarsi di quell'evento un tempo tanto atteso. La direzione aveva apportato delle modifiche al regolamento che sembravano conferire un peso ancora maggiore alla voce del popolo, e inizialmente la gente ci credeva. Gli anni poi rivelarono la reale natura di quelle regole, che di fatto esautoravano il pubblico dal suo ruolo: a vincere erano sempre i soliti, grazie al supporto di una pubblicità e un'informazione pervasiva, martellante, che non lasciava spazio ai pensieri, e i soliti non erano i migliori: erano pupazzi dalla voce stridula, ignoranti e arroganti, gente che non aveva combinato nulla di buono. Gente che sarebbe sparita al primo soffio di vento. La formula invecchiò, ma lo fece lentamente: ci vollero decenni prima che il popolo mangiasse la foglia, e capisse l'inganno che lo teneva immobilizzato da troppo tempo. E fu quello il momento decisivo, perché sarebbe bastato poco per dare un corso diverso alla storia: il popolo si disinteressò, voltò la testa dall'altra parte e smise di guardare. Avrebbe potuto ribellarsi, tentare di cambiare quella formula, tanto consunta quanto fondamentale per dare, almeno per qualche tempo, una parvenza di risveglio, di interesse, di unione, e invece non accadde nulla. Un giorno qualcuno decise che quell'evento secolare non aveva più senso di esistere e lo spense con una scrollata di spalle, nell'indifferenza generale. Tanto non serviva a niente, si diceva per strada. Lo dicevo anch'io, e lo dicevo da tanto tempo, ma ora più nessuno mi contraddiceva.
A distanza di tanti anni ho cambiato idea. Bisogna imparare dai propri errori e io credo di aver imparato: il giorno delle elezioni non è mai inutile, e non è mai troppo tardi per tornare indietro. L'importante è guardarsi alle spalle e comprendere gli sbagli commessi.
Chissà se impareremo a farlo, un giorno.
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