Forse si dimentica che le cariche delle particelle sono tali perché così definite, mentre non credo che la distinzione tra bene e male sia del tutto arbitraria, come fossero due princìpi intercambiabili. L’ignavia, ostentata come somma virtù, chiamata spesso “superamento del dualismo”, è la cifra degli pseudo-spiritualisti. Non sappiamo quale sia l’origine del male, ma asserire o che non esiste o che è sinonimo perfetto di bene, è forse un po’ audace.
I sensisti (e lo stesso Leopardi con ben maggiore acume), se non altro, distinsero tra piacere (bene) e dolore (male): oggi troveremo chi contesterà questa ovvia separazione.
E’ vero che la morale non trova fondamenti indiscutibili, poiché, per giovarsene, deve a sua volta presupporre un caposaldo altrettanto assoluto (Dio), ma anche un bambino, anche un animale rifuggono dalle cause di sofferenza, perseguendo, invece, il soddisfacimento dei propri desideri naturali. Questa congenita inclinazione verso le sorgenti della gratificazione dimostra che, anche ad un livello di impulsi elementari, bene e male non sono identici.
Se si allarga il discorso a sfere più elevate, anche qui ci si accorge che creazione e distruzione, bello e brutto, vita e morte, amore ed odio, salute e malattia, intelligenza e stoltezza non sono commutabili, ancorché un polo possa sfumare indefinitamente nell’altro. Bisognerebbe capire come e perché, ad un certo punto, nell’universo che di per sé non è né morale né amorale, sia emerso quel quid che, anche in modo istintivo e profondo, spinge gli esseri viventi a discernere tra gli opposti. L’etica affiora quando si prende coscienza della natura dell’universo? Potrebbe l’etica essere una sovrastruttura umana in un cosmo in cui tutto accade come deve accadere, dove tutto è compiuto? Questa possibilità mi pare implausibile, tuttavia non si può, se si vuole essere spassionati, rigettarla a priori.
Se, seguendo Kant, postuliamo una ragion pratica, siamo costretti ad aggiungere anche l’assioma del libero arbitrio, poiché non ci si può riferire ad una condotta lodevole o deprecabile, escludendo la possibilità di scegliere. Paradossalmente gli anti-dualisti etici di solito sono assertori del libero arbitrio e persino della capacità di co-creare.[1]
Sono temi spinosi, su cui abbiamo già indugiato: qui evidenziamo la contradditorietà dell’assunto. In un mondo che è “il migliore dei mondi possibili”, che senso hanno le azioni, l’evoluzione della coscienza, le scelte? E’ necessario sia introdotto un ostacolo, affinché si inneschi il movimento che non è necessariamente progressivo. Eppure gli pseudo-spiritualisti negano che tale ostacolo si trovi anche nella realtà empirica, ribadendo che tutto, proprio tutto è perfetto così com’è, giacché il male è solo il risultato di una visione limitata e distorta. Se così fosse, però, donde scaturiscono le questioni che diventano lancinanti nelle situazioni estreme? Sono il frutto di fantasticherie o davvero qualcosa non quadra? Se è corretta la seconda ipotesi, che cosa non quadra e perché?
E’ evidente che le domande pullulano. Sono quesiti giganteschi che fagocitano le piccole, timide risposte sull’enigmatica, ambigua natura dell’essere.
[1] La questione è assai controversa. Se è indubbio che, in casi eccezionali, la mente può influire in qualche modo sui fenomeni, affermare che il pensiero (ma il pensiero di chi?) può ipso facto creare e plasmare la realtà, poiché a livello di particelle subatomiche l’osservatore (attraverso uno strumento) interagisce con l’osservato, è di nuovo una semplificazione ed un triplo salto mortale. E’ comunque un’idea che va collocata in una teoria filosofica congruente al suo interno e non espressa a vanvera.
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