Lo schiaffo di Zamarion (settimana 1)

Creato il 17 maggio 2014 da Zamax

Alessandro D’Amato ha lasciato la direzione di Giornalettismo, di cui era il fondatore. Era stato lui a volermi a Giornalettismo ormai cinque anni fa. In questi anni ho scritto quando e come ho voluto su una testata piuttosto bolscevica per i miei beceri gusti vetero-berlusconiani. Tre anni e mezzo fa circa mi fu chiesto di occuparmi della rubrica “Vergognamoci per lui”, fino a quel momento tenuta da Malvino, grande penna anticlericale. Accettai con qualche perplessità, nulla promettendo: ghigliottinare un poveretto ogni santo giorno non sembrava molto confacente ad un feroce anti-giacobino come me. Ma poi mi venne in mente che divertendo i lettori avrei potuto divertirmi anch’io. E così fu. Nel senso che IO mi divertii. L’alato messaggio umoristico, invece, non fu mai ben compreso dai lettori, i quali con lodevole costanza hanno continuato per tutto questo tempo, in nove casi su dieci, a vergognarsi di me. Il nuovo direttore Marco Esposito mi ha proposto di cambiare il nome della rubrica con quello che vedete sopra. Ho accettato. Direi che così la rubrica viene ad assumere un carattere meno personale nei confronti delle vittime, ma più personale dal punto di vista del carnefice: fatto che non può in alcun modo dispiacere alla mia ben nota megalomania.

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PICCOLO MONDO COMUNISTA 13/05/2014 

L’ultimissimo capitolo delle avventure del Compagno G ci ha regalato una perla: il mitico Primo, nonostante tutti i pasticci combinati nel passato, era da anni iscritto al Pd. Quando Primo cadde nella rete di Mani Pulite (fu arrestato due volte nel 1993) si capì subito che era di una pasta diversa da quella delle signorine socialiste o democristiane: un professionista in mezzo a tanti piagnucolosi dilettanti, un comunista solido, tarchiato, tranquillo e perfino simpatico, che di fronte alle accuse dei magistrati e a quelle ancora più velenose del suo partito, il Pci-Pds occhettiano, che lo incolpava di millantato credito, cioè di aver usato la sua militanza e le sue note entrature nei quartieri altissimi del partito per farsi i suoi affarucci personali, rispondeva serafico: niet, niet, niet e ancora niet. Uno spettacolo. Fu condannato per finanziamento illecito al partito; il quale partito naturalmente si salvò dall’infamia, oltre che per lo stoicismo del Compagno G, anche per due altri motivi: la tenaglia mediatico-giudiziaria, come sempre accade quando il malaffare spurga dai tombini della sinistra, non si chiude mai perfettamente; e per il fatto che noti sillogismi accusatori si applicano solo ai nemici dell’Italia per definizione onesta e democratica. Una parte non trascurabile del popolo di sinistra, e forse la maggioranza silenziosa, vide in Primo l’eroismo e la saldezza dell’apostolo, ed una conferma della superiorità antropologica e perfino morale del comunista. E tuttavia, ufficialmente, agli occhi dell’elettore post-comunista e democratico, col suo culto feticistico e un po’ bambinesco della legalità, Greganti non poteva essere che due cose: o un corrotto semplice o, peggio ancora, un corrotto-diffamatore, cioè, ripetiamo, uno che aveva scientemente infamato il nome del Pci-Pds per intascare cospicue mazzette. Ciononostante, il Compagno C, sempre ufficialmente, è tornato a casa e a partecipare alla vita di partito nella sua Torino: sono dell’avviso che anche questo “premio” dovrebbe essere oggetto di un’indagine approfondita. Psichiatrica s’intende.

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IL COMPLOTTO ALLA LUCE DEL SOLE 14/05/2014 

Fossi nei panni di un anti-berlusconiano non sarei tanto tranquillo. Le parole dell’ex segretario al tesoro degli Stati Uniti Tim Geithner sulla «trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere» hanno offerto un assist formidabile al leader di Forza Italia in una campagna elettorale che vedeva il suo partito attestato sulla linea del Piave. Adesso il patriota Berlusconi andrà all’attacco per fare del voto una specie di referendum su se stesso e conquistare il voto degli indecisi e dei potenziali astensionisti. Saranno dieci giorni di fuoco.

Geithner probabilmente dice una cosa vera ma parziale, che va letta nel contesto dei differenti e conflittuali approcci tenuti da USA e Europa nei confronti della crisi finanziaria. Chi nega il complotto ha perciò ragione, ma è ridicolo perché non vede qualcosa di più profondo e di più grande. Chi avvalora la tesi del complotto sbaglia per le stesse ragioni, ma è molto meno ridicolo. Complotto equivale a segreta macchinazione, ma “complotto” è una parola troppo misera per quella che è stata una volontà pervicace, perseguita alla luce del sole e con tutti i mezzi possibili tranne il tirannicidio, di eliminare il Caimano. Da quando l’Impresentabile calca la scena politica la tentazione di un commissariamento della democrazia italiana – per ragioni superiori di tenuta democratica, s’intende – è sempre stata latente sia a sinistra sia nel partito informale del governo tecnico.

In tal senso la febbre commissariale dell’intellighenzia italica toccò il massimo grado qualche mese dopo la scissione finiana che verso la fine del 2010, l’anno della mostrificazione del grande puttaniere, doveva segnare la morte del governo Berlusconi. Ma non fu così. I primi mesi del 2011 videro perciò le penne di tutta una schiera di fior di costituzionalisti e di pensosi editorialisti di seriosissime gazzette impegnate a perorare la causa di adeguate soluzioni costituzionali al problema Berlusconi, e non mancarono appelli a entità sovranazionali. Fu questa Italia a negoziare e a preparare con l’Europa la dipartita dell’Impresentabile. Ma furono solo la tempesta finanziaria e la crisi dello spread (che non fu il frutto di un complotto contro Berlusconi ma che allo stesso tempo con Berlusconi non c’entrava nulla) a rendere questo disegno possibile. E Berlusconi fu solo la vittima da offrire al Dio dell’isteria collettiva.

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CARO IL MIO SALLUSTI FURIOSO 15/05/2014

«La testimonianza di Geithner – ultima di una lunga serie di autorevoli protagonisti di quei mesi – chiude il cerchio. Gli italiani sono stati imbrogliati, lo spread non fu la causa della crisi, bensì l’arma usata per innescarla. C’è stato, insomma, un attacco alla nostra sovranità nazionale e ai nostri soldi. Che ha avuto, ovviamente, complici in Italia.» Caro Sallusti, bravo! Fai il tuo mestiere, ma come al solito fai un casino spaventoso. La mia sincera e benevola opinione è che non sei fatto per comandare, ma per esibire la grinta del sergentaccio di ferro, carogna valorosissima ma incapace di vedere più in là del proprio naso. «Fuori i complici!» scrivi: e io adesso ti spiego che fra quei complici potresti esserci anche tu. Poi non arrabbiarti.

Nel 2010 la nota e poderosissima macchina del fango fissata con la legalità, sempre misteriosamente sfuggita all’occhio di falco di Roberto Saviano, si risolse ad usare contro Berlusconi l’arma di distruzione di massa: il puro e semplice sputtanamento. Fu una campagna ossessiva, plumbea, a sfondo guardonistico, intrisa di un moralismo osceno. Ma ebbe successo. Berlusconi divenne davvero l’Impresentabile, anche all’estero. Poi venne la scissione di Fini. L’Italia anti-berlusconiana esultò e disse: «E’ finita per il Berlusca!». E voi, amici del Berlusca, voi del Giornale e voi di Libero, cadeste come stupide mammolette nel panico, e diceste: «E’ finita per il Berlusca!». S’intende che questo panico lo mascheraste dietro alte e indignate grida e propositi bellicosi. «Niente pasticci! Vogliamo le elezioni!» Questo dicevate, perché già allora il Partito del Corrierone spingeva per il governo tecnico. Cioè volevate che Berlusconi andasse incontro ad uno splendido suicidio.

Ma così non avvenne. Perché in parlamento c’era una divisione intera di centristi, apolidi e pendolari senz’arte né parte che da nuove elezioni aveva tutto da perdere, e che corse, del tutto naturalmente, in soccorso a Berlusconi. E’ quella nota gente che quando veleggia verso destra passa per venduta, quando lo fa verso sinistra viene chiamata responsabile. E non a caso questi previdenti buontemponi pensarono bene di farsi chiamare “Responsabili”. Faccio altresì notare alla pregiatissima classe dirigente del Pd, la stessa che al momento del varo del governo Monti molto vantò il proprio senso di responsabilità nell’aver rinunciato ad una vittoria schiacciante e sicura in caso di elezioni, che i “Responsabili” spiegano sia la formidabile resistenza di Berlusconi sia le sue dimissioni: infatti col venire meno del pericolo per loro mortale delle elezioni, veniva meno anche la necessità di sostenere Berlusconi. E’ per questo che Berlusconi non fu mai sfiduciato in parlamento.

E tuttavia caro Sallusti, tu e i tuoi amici, per tutto il 2011 scrivevate che Berlusconi doveva dimettersi e sfidare il mondo. Che così-non-si-poteva-andare-avanti! Sì, ma per andare dove? La verità è, caro Sallusti, che tu e i tuoi amici con tutte le vostre confuse rodomontate facevate i disfattisti. Quando arrivò la tempesta finanziaria la crisi degli spread investì i cosiddetti PIIGS, ciascuno dei quali aveva i suoi squilibri particolari. L’Italia aveva soprattutto un debito pubblico grandioso, ma di una stazza che sostanzialmente era stabile da vent’anni. La cosa per l’Italia era piuttosto beffarda in un momento nel quale le economie europee si stavano italianizzando a velocità vertiginosa proprio dal lato del debito pubblico (l’aumento del quale era anche dovuto ai salvataggi delle banche e quindi originato dai debiti privati). L’Impresentabile divenne il capro-espiatorio di questa situazione. Bisognava rimuoverlo per «dare un segnale» a mercati. E bisognava «fare presto». I piani di commissariamento della democrazia giacobino-tecnocratici di casa nostra poterono prendere corpo. Il Cavaliere però resisteva e voi che facevate? Facevate gli isterici, esattamente come i vostri avversari. Continuavate a chiedere le dimissioni e nuove elezioni. Poi l’accerchiato Berlusconi si dimise. Fece il buono. Non rovesciò il tavolo. I governi Monti e Letta ripresero sostanzialmente la politica di galleggiamento finanziario di tipo ragionieristico di Tremonti e lo spread piano piano abbassò la cresta lo stesso.

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UN COMPLOTTO COSI’ GRANDEEEEE…. 16/05/2014

Come insegnò una volta per tutte il Poe de “La lettera rubata”, il miglior modo per nascondervi una cosa che state cercando è di mettervela negligentemente, come se niente fosse, sotto il naso, mentre voi frugate diligentemente e comprensibilmente nei buchi e negli angoli. La morale del “complotto” contro Berlusconi è la stessa. Si può dire che nei primi mesi del 2011 tutta l’Italia Migliore fosse impegnata nel trovare un modo per mandare a casa il Caimano a tutti i costi, impegnata cioè nel famigerato “complotto”: articoli di giornale, interviste, proposte, appelli. Tutto alla luce del sole, tutto meritorio, tutto democratico. Tutto talmente spudorato da apparire normale. Lo spread era ancora sconosciuto alle plebi. La parola d’ordine era questa: Berlusconi è una barzelletta, è una vergogna, è una minaccia per la democrazia, ergo lo dobbiamo mandare a casa. Di economia non si parlava affatto. Questo programma fu nobilmente fatto proprio da Carlo De Benedetti in un’intervista concessa al quotidiano tedesco “Die Zeit” ai primi di marzo del 2011. Dopo aver descritto il mostro e la sua pericolosità, dopo aver lamentato l’assenza di una «vera opposizione», De Benedetti profetò che Berlusconi sarebbe stato rovesciato dal popolo. All’uopo, il democratico numero uno auspicava una “primavera araba” italiana. Siccome all’epoca tutto l’occidente salottiero si era infatuato della “rivoluzione di Twitter” di piazza Tahrir, De Benedetti magnificò la potenza di fuoco di internet con un esempio su tutti: il sito di “Repubblica”. Poi lo spocchioso nemico numero uno del becero populismo si concesse il lusso di una massima dal finissimo gusto grillino: «La gente non ha bisogno di partiti. La gente ha più potere dei politici. Si possono creare le condizioni per la caduta di Berlusconi.» L’intervistatore allora chiese, per puro dovere professionale, non per cattiveria, giacché tutta l’intervista è come permeata da un rilassato cameratismo: «Perché non attraverso il voto?» De Benedetti rispose schietto: «Se il governo non cade, non restano che le elezioni del 2013.» Hai capito. E chi avrebbe guidato un’opposizione divisa e litigiosa? «Tutto il Pd, il più grande partito d’opposizione, vuole Monti.» Ma come? Il Pd è lacerato dalle divisioni! «Esattamente. E’ per questo che potrebbe mettersi d’accordo su un outsider.» La primavera arrivò, ma non arrivò la “primavera araba”, e nemmeno piazza Maidan. Però i preparativi per l’intronizzazione di Monti andavano avanti. Mancava solo l’occasione buona per l’agguato. E l’occasione venne, per la gioia dell’Italia nata dalla Resistenza. Ma non era quello il “complotto”.


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