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Lo scopo reazionario dell’austerità. Ora se ne accorge anche Krugman

Creato il 21 maggio 2013 da Albertocapece

La mao invisibile“Quindi, un modo di vedere la via dell’austerità è l’implementazione di una sorta di giuramento di Ippocrate al contrario: «In primo luogo, non far nulla per limitare il danno». Perché la gente deve soffrire se le riforme neoliberiste devono prosperare.” Una volta tanto non sono costretto a dirlo fino alla noia da blogger infelice e sconosciuto, ma posso citarlo dal premio nobel Krugman che, dai e dai, se ne è accorto, nonostante alcuni economisti ultra liberisti come Robert Mundell, altro nobel, lo avessero detto a chiare lettere: le ricette del rigore e dell’austerità sono controproducenti, ma servono a spazzare via le conquiste democratiche e sociali. Dunque sono le benvenute per le oligarchie al potere, così come sono benvenuti gli strumenti attraverso cui si applicano, fosse pure una moneta unica ingestibile. E del resto come spiegare altrimenti perché il Fondo monetario internazionale, Vaticano della religione neoliberista, continui a spingere in questa direzione dopo 25 anni di disastri provocati da queste ricette in Asia e Sudamerica. Atteggiamento divenuto anche grottesco dopo che l’economista capo dell’ Fmi ha dichiarato che – almeno per quanto riguarda l’Europa – si è trattato di un clamoroso errore di calcolo.

Krugman cita – rammaricandosi di aver avuto un atteggiamento superficiale su questi aspetti – sia una recente presa di posizione Noah Smith, che gli interventi già più consolidati di Naomi Klein che le analisi di Michael Konczal risalenti a un classico saggio del 1943. Tutti e tre convergono nel ritenere che le elite non cerchino davvero di trovare soluzioni alle crisi, non prima almeno che abbiano provocato quei cambiamenti politici ed istituzionali che essi desiderano. La Shock Doctrine della Klein riassume benissimo queste posizioni quando sostiene che «Il problema è questo ambiguo tentativo di usare la crisi per centralizzare il potere, di sovvertire la democrazia, di evitare il dibattito pubblico dicendo: “Non abbiamo tempo per la democrazia. È tutto in confusione. Non importa quello che volete. Non abbiamo scelta. Dobbiamo forzare”. Sta accadendo tutto su vasta scala». E già Konczal sostenva 60 anni fa che “gli interessi del business odiano la teoria economia keynesiana perché temono che potrebbe funzionare. E questo comporterebbe che i politici non dovrebbero più umiliarsi davanti agli uomini d’affari”.

Non ci vuole molto a collegare tutto questo alle famose parole di Monti, risalenti a un anno e mezzo fa, in cui la crisi era vista come un’opportunità per le famose “riforme” paroletta magica, abracadabra della politica mai esplicitata, ma che , come si è visto, si traduce nell’azzeramento del Welfare, nell’aggressione ai diritti del lavoro e nella riduzione dello Stato a semplice spettatore del mercato e poliziotto per chi non ne accetta le logiche. Però perché Krugmann di fronte all’evidente insistere in formule perdenti per l’economia non si è accorto prima che il loro scopo è eminentemente politico? “Devo ammettere – dice – che al tempo della sua pubblicazione non ero tanto ben disposto verso il libro di Klein, ( Shock Doctrine del 2007, ndr) probabilmente perché fuori dal campo della professionalità e cose simili, ma la sua tesi aiuta davvero a spiegare molto di quello che sta succedendo, in particolare in Europa.

Già, come avviene da millenni i chierici sono infastiditi dalla presenza di “sconsacrati”e il fastidio cresce in proporzione inversa al valore euristico delle loro dottrine: l’economia con la sua pretesa di essere scienza, è un interessante campo di studio antropologico da questo punto di vista. Persi dentro la foresta molti vedono foglie e tronchi con molta definizione senza però accorgersi dell’insieme. Se lo facessero vedrebbero che  non è poi così strano che dietro le ricette economiche si nasconda un fine politico, dal momento che l’economia è una forma particolare di sociologia politica.

Meglio tardi che mai in ogni caso. Tanto più che tutto questo svela la miseria assoluta del dibattito politico e mediatico a cui siamo costretti ad assistere mentre il Paese sprofonda tra Letta e lettoni e solo un avvizzito ritratto di Dorian Gray della speranza.


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