Non la usai mai: quello era il suo destino, non il mio. Io ho cercato di prendermi cura come meglio potevo di un altro tipo di vitigno che cresce alle nostre latitudini.
Io ho coltivato le storie.
Già, coltiva storie, Cristiano Cavina, e le coltiva con la sapienza antica dei contadini. I quali sanno che la terra regala i suoi doni solo con il rispetto che viene da lontano e l'attenzione da rinnovare ogni giorno. E' questo che ci dimostra, in Romagna mia! (Laterza), concentrato di storie, corteo di nonne e nonni, di zii e altri parenti, di avventori al bar, compagni di scorribande notturne, avversari a carte, affabulatori sul niente e sul tutto. Compagnia strana e lunatica che non ci accompagna solo nella provincia italiana, quella che sembra appartenere a un'altra epoca.
Di più, perché ci porta per mano dentro la Romagna, questa terra che si fa riconoscere più per i romagnoli che per i suoi confini invisibili e discutibili. Terra dove la gente se ha qualcosa da dire, parla; e se non ha niente da dire, parla ancora di più; terra di piadine e vino generoso; terra dove i nomi si pronunciano per intero solo al battesimo del prete, per il resto via ai soprannomi, i più improbabili, e anche questo qualcosa vorrà dire.
La Romagna - spiega Cavina - in fin dei conti è più un'invenzione dei suoi abitanti che una precisa espressione geografica: uno stato della mente, insomma, un'isola del carattere.
Sottoscrivo, dopo aver letto questo libro.