Così scriveva di Amerigo Vespucci uno dei grandi scrittori del Novecento, Stefan Zweig, nel suo Amerigo (ristampato ora da Elliott). Scriveva così e ci restituiva per intero la straordinaria vicenda del mercante di Firenze che diede il nome quel Nuovo Mondo che secondo logica avrebbe dovuto chiamarsi Cristoforia o Colombia.
Straordinaria vicenda, che ci dimostra che per scoprire non basta tracciare nuove rotte e toccare nuove terre, bisogna maturare nuove consapevolezze. Scoprire, anzi, significa dare nuovi nomi.
Però che storia anche quella di Stefan Zweig, che proprio a Amerigo volle dedicare l'ultimo suo libro, nel 1942, uomo (ed ebreo) in fuga dall'Europa in fiamme e dalle persecuzioni. In Brasile, dove aveva trovato rifugio, finì di raccontare il suo Amerigo e poi si uccise con il sonnifero.
Pare che fosse una bella giornata di sole. La data - il 22 febbraio - era la stessa della morte di Amerigo Vespucci, secoli prima. Vietato credere alle coincidenze. Come se quell'uomo mediocre, quell'uomo onesto gli fosse entrato dentro invitandolo all'ultimo viaggio.