“(… ) Crede seriamente che scrivere sia una gioia?!(…)E’ la rinuncia al sole, all’azzurro, al piacere di camminare, viaggiare, di usare tutto il tuo corpo: non solo la testa e le mani. E’ una disciplina da monaci, un sacrificio da eroi, e Colette sosteneva che è un masochismo: un crimine contro se stessi, un delitto che dovrebbe essere punito per legge e alla pari degli altri delitti. Colonnello, c’è gente che è finita o finisce nelle cliniche psichiatriche o al cimitero per via dello scrivere. Alcolizzata, drogata, impazzita, suicida. Scrivere ammala, signor mio, rovina (…)”.Brano tratto dal libro INSCIALLAH di Oriana FallaciScrivere è tumulto interiore, continuo e incessante. Scrivere è sofferenza, principalmente dolore: il dolore di se stesso e dell’altro, il dolore del mondo, il dolore di vivere, il grido di dolore dell’umanità imbruttita, schiavizzata, sfruttata, impotente, frustrata che l’anima dello scrittore interiorizza e fa suo per sublimarlo e trasfigurarlo in un qualcosa di meraviglioso e grande al quale diamo il nome di Arte.Scrivere è totalità e compiutezza. Lo scrittore (il verace, l’intransigente, il tenace) sa benissimo cosa lo scrivere comporti. Comprende, fin dal primo istante, che la sua scrittura lo porterà su strade lontane e a latitudini perigliose dove le mezze misure non sono ammissibili, i compromessi (con il potere, la società, il lettore, se stesso) inaccettabili, l’agire e il lottare per un’idea pericolosi a tal punto da comportare, talvolta o spesso, un alto rischio di minaccia all’integrità della persona, al pregiudizio sociale, al perseguimento giudiziario, all’imprigionamento e alla tortura e fin’anche alla condanna e all’esecuzione capitali.Le responsabilità dello scrittore sono varie e complesse, di frequente assolute. Lo scrittore impegnato politicamente, civilmente o socialmente, è quasi come un soldato al fronte, che macera le proprie energie intellettive e fisiche quotidianamente nel fango, nel fumo e nel fuoco, nel sangue, nelle dure condizioni di esistenza della trincea dove gli assalti del nemico sono continui e vanno respinti, finché se ne ha la forza; le battaglie incalzano improvvise e micidiali; la guerra si protrae per mesi, per anni e, non è del tutto escluso, perfino per decenni o addirittura per secoli.Cosa rimane, alla fin fine, di una vita dedicata alla scrittura come alto impegno morale, sociale, civile, politico, umano e artistico? Forse, dopotutto, la consapevolezza, reale o soltanto immaginaria, di essere stati sempre dalla parte del Bene e del Giusto e di averli serviti a discapito del Male, materiale o metafisico, fino al sacrificio supremo, cioè quello della propria vita; perché l’Arte, la cultura, basi o corollari della scrittura, sono il sogno, realizzato o in atto, di ogni civiltà e il rigetto endemico di qualunque forma di barbarie; perché l’animus di un popolo, di un essere umano, uomo o donna, che scrive e dello scrivere si assume le conseguenze profonde, ambigue, urgenti; l’animus quale senso di potenza, di forza creatrice che percepisce e smuove fa di una roccia durissima un fuoco, di un muro insormontabile una fiamma sottile come l’aria scruta e vede, quasi sempre, oltre la superficie delle cose e le opinioni correnti.AnimusFine della civiltào dei sogni?Dura è ogni pietraall’avanzare della barbarie.La roccia si spaccacol fuoco che bruciail sangue sublimato,ma la fiamma sottilepurifica il gelodei muri intattifra le rovine.Francesca Rita Rombolà