Sulla scia di quanto già fatto qualche tempo fa da Repubblica, anche il Corriere della Sera ha appena lanciato un corso di scrittura a fascicoli settimanali per aspiranti geni della parola.
Dodici dispense accompagnate da altrettanti DVD (perché, si sa, oggi “multimediale” è la parola d’obbligo) in cui le più lucenti star dell’industria libraria italiana contemporanea raccontano la loro passione e, chissà, svelano forse qualche segreto del loro successo.
Non appartengo alla schiera dei nemici del corso di scrittura tout-court; esattamente come io vado in palestra e tiro su pesi a dispetto della mia assoluta mancanza di predisposizione all’attività fisica, ritengo che ci possano essere molte persone interessate ad ascoltare le lezioni di Ammaniti, Faletti o Severgnini per poi dare ai loro diari, blog o sms un tono più vicino a quello del romanziere di professione.
D’altro canto, però, mi sembra sempre necessario ribadire il fatto che il talento (quello letterario esattamente come qualunque altro) non si impara certo seguendo un corso o applicando delle regoline da manuale delle giovani marmotte. Ma questa è ormai una banale premessa che qualunque titolare di cattedra di scrittura (sia essa fisicamente esistente o anche solo virtuale) ha imparato a mettere come comandamento numero uno di qualunque decalogo.
Cioò che però continua a darmi fastidio di operazioni commerciali come questa del Corsera è il sottinteso accostamento tra corso di scrittura e talent show televisivo. E’ assurdo costruire, come fa il Corriere, un sottile gioco subliminale di immagini, tramite il quale si accosta la figura dello scrittore edito, magari anche molto venduto, a quella della persona persona trendy e cool: adolescenti felici, ragazze chic, donne senza rughe e uomini brizzolati modello George Clooney che sorridono a favore di obiettivo con aria da manager in carriera e tenendo il loro bel fasciolo in mano affermano “Io scrivo”.
Ebbene no…
Per carità, capisco le esigenze del marketing, e il bisogno di mentire trasmettendo un immagine vincente indispensabile quando si cerca di vendere un prodotto; ma, per quella che è la mia esperienza di scrittura ed editoria, mi viene automatico far notare a chiunque decida di diventare ricco e famoso con la scrittura che.. toh! guarda un po’!... non è affatto così che funziona.
Essere romanzieri o saggisti - anche best sellers magari - significa sempre appartenere a una categoria di sfigati, di uomini e donne non-rampanti per antonomasia, di stralunati che il più delle volte non si sanno vestire, hanno pochissimi amici, e sono a disagio in tre quarti delle banali situazioni a cui la quotidianità li mette di fronte.
Lo scrittore, a meno di non avere una facciata prettamente di vetrina buona solo per quando si fanno le presentazioni da Fnac o si va ospiti da Fabio Fazio, è uno abituato a interfacciarsi soprattutto con i propri fantasmi, con le proprie angosce, con le proprie brutture interiori ed esteriori, e sta bene così. E’ infatti proprio questa caratteristica, questa innata vicinanza ai propri limiti di essere umani, la principale spinta che lo proietta verso la scrittura.
Di conseguenza, non è certo la fighità, la peculiarità del romanziere, non sono il fascino o il sex-appeal a renderlo distinguibile dalla massa.
Le due espressioni “essere persona di successo” e “essere scrittore” sono in contraddizione, sempre, anche quando, per una serie di eventi messi insieme dal caso, ci si ritrova ad essere scrittori di successo.
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