Il giornalista, che si chiama Rodolfo Bracedi ed è argentino, ci prova in ogni modo: prima tramite la casa editrice, poi riesce a scoprire indirizzo e telefono della nipote di Marquez (cosa per niente facile…), che fa da filtro per i contatti con lo scrittore. Infine ci arriva con un espediente ingegnoso che non starò a raccontare.
Quando viene il fatidico giorno va a fare l’intervista “con l’aria del provinciale che ha vinto alla lotteria” e col ”panico ingenuo che deriva da una grande ammirazione”.
L’incontro avviene nella casa di Marquez a Cartagena de Indias, un’abitazione costruita da poco che lo scrittore deve ancora ammorbidire come un paio di scarpe nuove. In realtà questa è soltanto una delle case di Marquez che vive anche in Messico, a Parigi e all’Avana. I due sono nello studio, davanti a una grande finestra che dà sul mare. E’ il 1996 e Marquez sta per compiere settant’anni.
Come quella di Hemingway, anche la vita dello scrittore colombiano è regolata di tutto punto. Alle otto di alza e scrive fino alle due e mezza. Pranza. Fa la siesta. Poi c’è il tempo per gli amici e dalle sette alle otto, su indicazione del medico, gioca a tennis. C’è da chiedersi se una vita tanto programmata non sia una caratteristica degli scrittori, o almeno dei Nobel per la letteratura: Hemingway 1954, Marquez 1882. Ma a un certo punto Marquez dice che è stato proprio Hemingway a indicargli la via.
Tutto ciò si trova nel libricino Lo scrittore nel labirinto di ogni giorno. Scopriamo così che Cent’anni di solitudine è stato lo spartiacque nella sua vita. Dopo ha raggiunto il successo ed è diventato uno scrittore di professione. Prima era il tempo della povertà in cui faceva il giornalista. Per scrivere Cent’anni di solitudine, lui e sua moglie si sono indebitati fino al collo e hanno chiesto aiuto a tutti quelli che conoscevano.
Prima scriveva di notte e dormiva di giorno, dopo ha dovuto imparare a scrivere di giorno. A scrivere come un impiegato di banca e ad essere il direttore di se stesso: “Mi terrorizzava ogni mattinata, sì, fino al giorno in cui lessi l’intervista di Hemingway”. Quell’intervista gli ha insegnato la disciplina necessaria per scrivere.
Dell’altro grande autore latino-americano, l’inventore dei labirinti, il più logico e insieme il più fantastico degli scrittori, Marquez dice che lo intimidiva molto e che non l’ha mai conosciuto, ma legge sempre i libri di Borges e li tiene sul comodino.
Marquez Racconta che avrà firmato almeno un milione di suoi libri ed è arrivato alla conclusione che un libro non gli sembra finito se non lo ha firmato.
L’inventore del realismo magico ha molta nostalgia di quando era un reporter, ma in un certo senso la sua attività giornalistica non si è mai interrotta perché continua a interrogare la gente, a nutrirsi delle loro storie, a raccontarle. E forse il motivo per cui detesta le interviste è che le domande a lui piace farle.