Rimango sempre folgorato da quell'ultimo sguardo di Karin in "La fontana della vergine" di Bergman, o forse folgorato non è la parola giusta, direi piuttosto spaventato, se non addirittura turbato. E' difficile spiegarne i motivi ma quel volto, prossimo alla morte, che lancia il suo sguardo innocente verso i carnefici, provoca un dolore davvero lancinante. Mentre il sangue riga quel viso candido ho come l'impressione di una scintilla, chiamiamola coscienza, di un momento di lucidità spietata (di chi sa che è tutto finito) che ha davvero del terribile. Non è solo la vecchia questione della purezza perduta per sempre, dell'irruzione di una violenza cieca nei confronti di uno sguardo ancora infantile, ma è la triste, devastante consapevolezza della fine di ogni cosa. E' come se quella giovane donna divenisse adulta in un istante solo: in quel momento il dolore del mondo si contrae in una singola espressione, si imprime per sempre nello sguardo che diviene, immediatamente, lo sguardo di un morto. Come se Karin si fosse risvegliata dal suo sonno immacolato, e, a un tratto, avesse perso tutto, diventando adulta solo nel momento terminale della sua esistenza.
Rimango sempre folgorato da quell'ultimo sguardo di Karin in "La fontana della vergine" di Bergman, o forse folgorato non è la parola giusta, direi piuttosto spaventato, se non addirittura turbato. E' difficile spiegarne i motivi ma quel volto, prossimo alla morte, che lancia il suo sguardo innocente verso i carnefici, provoca un dolore davvero lancinante. Mentre il sangue riga quel viso candido ho come l'impressione di una scintilla, chiamiamola coscienza, di un momento di lucidità spietata (di chi sa che è tutto finito) che ha davvero del terribile. Non è solo la vecchia questione della purezza perduta per sempre, dell'irruzione di una violenza cieca nei confronti di uno sguardo ancora infantile, ma è la triste, devastante consapevolezza della fine di ogni cosa. E' come se quella giovane donna divenisse adulta in un istante solo: in quel momento il dolore del mondo si contrae in una singola espressione, si imprime per sempre nello sguardo che diviene, immediatamente, lo sguardo di un morto. Come se Karin si fosse risvegliata dal suo sonno immacolato, e, a un tratto, avesse perso tutto, diventando adulta solo nel momento terminale della sua esistenza.
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