almeno nel web, uno dei più grandi conoscitori e cultori del cinema sommerso, invisibile, quel cinema cioè che nessuno vi farà mai vedere ma devi essere tu ad avere la passione e la pazienza di cercare (operazione che fa anche Romina nel suo In Search of Visions). Come mi era capitato di dire un paio di volte Frank non solo offre, nelle scelte e nella scrittura, una grandissima qualità ma lo fa in una maniera mai saccente o "gerarchica". Il suo blog è una miniera di perle nascoste, metafora inflazionata che per una volta ha assolutamente ragion d'essere. La sua (nostra) speranza è che questa rubrica serva ad incuriosire qualcuno verso un tipo di cinema non convenzionale, molto spesso non narrativo ma che nasconde quasi tutta la sua forza nell'immagine, nel silenzio, nella forza della sospensione. Per far questo abbiamo deciso si mettere ogni volta i link per potervi far vedere i film. La rubrica presenterà sempre più titoli legati per tematica, epoca o regista.
Speriamo possa suscitare la curiosità di qualcuno.
In calce trovate i link ai film e alle recensioni complete di Frank.
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Con Le Revelateur e La Cicatrice Interieure, due tra i più interessanti film del cineasta francese Philippe Garrel, ho inaugurato ufficialmente (e cioè, aperto al pubblico) il mio blog, Visione Sospesa. La scelta del nome stesso (e del suo sottotitolo "il cinema dell'assenza"), prende spunto da queste due opere, indubbiamente tra le più significative del primo periodo garreliano e, allo stesso modo, certamente rappresentative per l'evoluzione che un determinato cinema d'autore meno conosciuto, più sommerso, ad oggi individuabile attraverso quello che più comunemente viene definito "cinema contemplativo", ha percorso negli anni. Ho quindi pensato di cogliere l'occasione per questa (speriamo fruttuosa) collaborazione alla rubrica propostami dal sempre gentilissimo Caden, come un secondo inizio, ripartendo (più o meno) dal punto cui ero partito oramai due anni fa (con la premessa che non sono/saranno visioni facili; al cinema che sono solito segnalare è necessario accostarsi con molta costanza e con la consapevolezza di trovarsi, comunque, dinnanzi a qualcosa di concettualmente diverso dall'ordinario), riportando così alla luce due film, che visto oltretutto il periodo della loro realizzazione, meritano sicuramente una maggiore diffusione.
a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, è un cinema genuinamente sperimentale, distante dalla convenzionalità dei generi e soprattutto, dal classico concetto di cinema narrativo (e di conseguenza, dal cinema più recente al quale l'autore ci ha abituati, spesso e purtroppo, con esiti alquanto deludenti, visti i trascorsi). D'altronde, quelli erano tempi incendiari, intrisi da fuochi rivoluzionari come quelli del "maggio parigino" al quale Garrel partecipò in prima persona e che, inevitabilmente, ebbero ripercussioni non indifferenti sul suo percorso formativo. Di conseguenza anche nel campo artistico emergeva quel profondo desiderio di capovolgimento dell'ordinario, tanto da portare alla spasmodica ricerca di nuove forme espressive che il cineasta trovò nell'immersione visiva di quei film provenienti direttamente dalle avanguardie cinematografiche sviluppatesi negli States alla fine degli anni cinquanta, e dagli ambienti da lui stesso frequentati, dove ebbe la fortuna di conoscere artisti quali Andy Warhol e la cantante Nico (Christa Paffgen), con la quale instaurò un legame (non solo professionale) che durò per gran parte del decennio successivo. E proprio La Cicatrice Interieure (1972), è il film che vede nascere questa collaborazione artistica, dove Nico si impegna su parecchi fronti (dalla recitazione alla sceneggiatura), non per ultimo, componendo appositamente una colonna sonora talmente suggestiva e ipnotica dove ancora oggi (scrissi testualmente nel blog), "la sua voce risuona imponente attraverso spazi sconfinati!" Lo spazio, infatti, nella sua immensità desertica è l'autentico protagonista della pellicola e la ricercata composizione dell'immagine (in entrambi i film), diventa a tutti gli effetti la principale forma di comunicazione (molti, i riferimenti alla pittura di fine ottocento). In questo caso è l'immagine di uno spazio che assume forti valenze simboliche legate alle origini dell'uomo che in esso vi circola, trovandosi disorientato, completamente assorbito al suo interno. Gli orizzonti diventano focali impercettibili, talmente lontani da amplificare quel senso di vuoto e solitudine che alberga nei corpi di queste "anime perdute". Che poi, in fin dei conti, è lo stesso vuoto emozionale vissuto dalla coppia in crisi, protagonista del precedente Le Revelateur (1968); effettivo esordio al lungometraggio (e probabilmente, a detta di molti, vero capolavoro del periodo) in cui è proprio il linguaggio del corpo (l'immagine di questi corpi fagocitati nel buio della Foresta Nera), all'opposto del film del '72, a sostanziare la pellicola nonostante la totale assenza di qualsiasi comparto sonoro (musiche, dialoghi). Le Revelateur è un film che affascina in maniera particolare, è forse l'opera di Garrel che il sottoscritto ama di più. Realizzato in un bianco e nero a contrasto elevato, prende le mosse da un passato che rievoca fondamentalmente l'era del cinema muto, rielaborato magistralmente all'interno delle nuove forme d'avanguardia. Ugualmente carico di simbolismi e metafore sulle origini della vita (la nascita, la famiglia), si presenta con un'impronta marcatamente più onirica del suo successore, in quanto mette in luce (letteralmente - vedasi la metodicità sull'uso dell'illuminazione nonchè, la memorabile sequenza "manifesto" dell'abbraccio materno) attraverso i sogni di un bambino (Stanislas Robiolles), evocanti il ricordo remoto della separazione dei propri genitori, o più verosimilmente, l'inconscia paura della loro perdita. Se volessimo infatti cercare una tematica portante, non solo nella prima fase del percorso garreliano ma per certi aspetti, di tutto il suo cinema a seguire, credo la si possa facilmente individuare proprio attraverso questa frattura/divisione del nucleo famigliare. Da un punto di vista formale, invece, a legare indissolubilmente le due opere prese in esame, persiste una geometria dello spazio e del movimento attraverso quest'idea raffigurativa del cerchio (la stessa carrellata a 360° effettuata in entrambi i film), che come ha osservato il filosofo Gilles Deleuze,"evoca metaforicamente il vuoto interiore al quale ruota la rappresentazione e nel quale essa rischia sempre di cadere, trattasi quindi di una figura che rimanda all'assenza, e alla perdita".
La Cicatrice Interiore
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Le Revelateur
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