Lo Spazio (In)Visto, viaggio nel cinema dimenticato (N°2): Sharunas Bartas, il Cinema della Rinascenza

Creato il 29 aprile 2015 da Giuseppe Armellini
Secondo appuntamento con il grande Frank di Visione Sospesa (uno dei massimi conoscitori, almeno nella rete, del cinema "laterale" a quello che noi tutti conosciamo).
Stavolta siamo addirittura in Lituania, ma del resto l'est europeo è una delle miniere d'oro di certi tipi di cinema.
In fondo al pezzo trovate i link alle singole recensioni di Frank.
Chiunque voglia vederli deve contattarlo privatamente (cliccate nel suo profilo) o scrivergli nel blog.
Nato a Siauliai (Lituania), classe 1964, Sharunas (o ŠarūnasBartas è considerato uno dei massimi esponenti del nuovo cinema indipendente baltico. La sua, è una regia che lavora di sottrazione (tanto da poter essere immediatamente associata a quella di autori quali Tsai Ming-liang o Bela Tarr, giusto per citarne due sicuramente noti ai più). Uno stile caratterizzato da un'accentuata dilatazione del tempo e dei movimenti, piani sequenza estenuanti, principalmente svincolato (almeno nei film che andrò a segnalare) dalle tecniche e i canoni della narrazione tradizionale, lasciando così lo spettatore libero di pensare, di costruirsi il proprio percorso riflessivo. Nelle opere di Bartas, l'ambientazione diventa il quadro essenziale per la rappresentazione interiore dell'uomo; incorporato al suo interno, sospeso nei propri pensieri, orfano di tutte le coordinate spazio-temporali dove ombre e luci si stagliano sui volti segnati dall'esistenza. La colonna sonora nella maggior parte dei casi è contraddistinta dai rumori naturali in presa diretta, i dialoghi (ridotti al minimo) assumono l'eco di un brusio indecifrabile, un mormorio di voci che si sovrappongono, riverberando tra le mura decrepite per poi esplodere improvvisamente in canti accompagnati da balli festosi sulle note di brani dal sapore latino. Lontano da influenze e citazionismi vari, quello del lituano è sempre stato un cinema allo stato puro (almeno fino allo sconcertante cambio di rotta operato nel 2010 con il deludente Indigene d'eurasie (Eastern Drift); un film che lascia basiti per l'(in)capacità di scivolare sui topoi più abusati delle produzioni straight-to-video e che ad ogni modo, non ci interessa approfondire in questo articolo), in cui l'immagine si riprende i suoi tempi e stabilisce un nuovo rapporto con lo spettatore. 

Tralasciando il primo lavoro che consentirà a Bartas l'accesso al VGIK di Mosca (il docu-short Tofolaria,1986, incentrato su una delle ultime popolazioni autoctone siberiane) e l'esordio al lungometraggio (deboluccio a dire il vero) Trys Dienos (1991), è senz'altro più importante soffermarsi sul mediometraggio che si colloca tra i due film succitati: Praejusios Dienos Atminimuiv (In Memory of the Day Passed By), piccolo capolavoro realizzato nel 1990, in un periodo di significativi mutamenti. Il titolo stesso è esemplificativo; in quell'anno, infatti, il popolo

lituano inizia il suo sofferto percorso d'autonomia dopo l'occupazione del regime sovietico (indipendenza che però verrà riconosciuta ufficialmente solo nel settembre dell'anno successivo) e Bartas, ne approfitta per fondare la sua casa di produzione (Kinema Studjia), prospettando così una rinascita per il cinema lituano e il suo relativo circuito di registi emergenti. Praejusios Dienos Atminimuiv si sviluppa nell'arco di una giornata per le vie e le vallate di una cittadina baltica segnata dalla storia, alla semplice (ri)scoperta della vita quotidiana dei suoi abitanti (un popolo scalfito nell'animo e nel corpo, che riporta i palesi segni della sofferenza - estremamente toccante il vecchio mutilato che, sul suo carrettino, scorgiamo di spalle mentre rientra nella propria abitazione - ma fermamente deciso a rialzarsi) i cui tratti, caratteristici, sono già chiaramente delineati nella poetica bartasiana e andranno a imprimere significatamente il suo percorso con le opere successive. A sostenere in qualmodo i fili della narrazione, un burattinaio di strada che con i suoi giochi sembra infondere agli abitanti la speranza, consolidando quel momento di ritrovata indipendenza. A metafora della nuova condizione socio-politica, l'obiettivo puntato su quella marionetta riversa a terra sotto la neve, in un certo senso, simbolo di molte nazioni dell'est-europa alla deriva, dopo la disgregazione dell'Unione Sovietica. Nel 1994, Bartas imbocca il "corridoio" della massima espressione artistica realizzando quelle che penso siano considerate (quasi all'umanimità, tra la ristretta cerchia di conoscitori), le sue opere migliori, i vertici di questa sua poetica della sospensione: Koridorius (The Corridor) e Namai (The House), passati in rapida visione anche da noi grazie alle indispensabili programmazioni notturne del Fuori Orarioghezziano. Qui, la naturale concezione spazio-temporale viene smantellata (specialmente nel secondo film) catapultando lo spettatore in una dimensione prettamente mentale, dai riflessi onirici, a tratti surreali. Le due pellicole,
potrebbero in effetti costituire un dittico in quanto entrambi si consumano (e rinascono) nella claustrofobicità dell'ambiente; luoghi chiusi e fatiscenti che fungono da contenitori della memoria e che paiono sovraffollarsi più dell'immaterialità dei pensieri, che dall'effettiva materialità dei corpi caduci che in essi vi circolano, inizialmente incapaci d'interagire uno con l'altro e di esprimersi (e infatti, la parola è persa o meglio; indistinta in un silenzio disturbante composto di sordi mormorii che risuonano attraverso i muri, o dai rumori provenienti dall'esterno). Ogni esistenza è sospesa nella propria stanza (in Namai, pittoricamente incastonata; i corpi impressi come tele dipinte assumono la forma di veri e propri tablex vivant), davanti ad una finestra pericolante, con un bicchiere di vino in mano, avvolta dalla fitta nebbia dell'incomunicabilità, per sospendersi in un tempo popolato di ricordi. Come in Koridorius, il cui titolo riporta si, al cammino che un giovane Bartas svagato, dal passo bradipo compie attraversando le decadenti stanze di una palazzina nel disagiato quartiere di Vilnius, ma è più metaforicamente la proiezione di un'infanzia (dai contorni quasi certamente autobiografici) vissuta tra le macerie e il degrado; attraverso quei frammenti in esterni che manifestano i segni di un passato sofferto, di una ferita ancora aperta per un popolo comunque capace di non abbandonare la speranza e pronto a rialzarsi per assaporare quei primi
momenti d'indipendenza. Al diradarsi della nebbia, infatti, il corridoio sembra ora splendere di nuova luce mentre i corpi, finalmente, si ricongiungono in quella ballata finale, riappropiandosi della loro vitalità. Ma c'è ancora un'altro passo da compiere affinchè il regista lituano  possa giungere alla fine del corridoio e firmare, così, il suo film più visionario. Namai (1997), si presenta come opera rinascimentale a tutti gli effetti (dallo stesso anno in poi, infatti, le strade di Bartas protenderanno verso altre terre: la Siberia in Few of Us, il deserto in Freedom e la Crimea in Seven Invisible Men). E lo è già con quella lenta carrellata frontale in direzione della facciata di un'antica dimora immersa nel bosco, fino a penetrare il suo interno seguendo il cammino di un uomo (la cui voce fuori campo udiamo leggere alcune lettere scritte alla madre), mentre si aggira catatonico tra gli ampi saloni semioscuri incrociando, anche qui, gli stessi volti che scrutano al di fuori delle finestre, assorti nei loro ricordi. E più ancora che in Koridorius, la casa stavolta funge da autentico contenitore della memoria; è il luogo che consuma i ricordi del protagonista fino all'annullamento della realtà, dove spettri del passato iniziano a materializzarsi affollando la sua mente (anziani segnati dalla sofferenza, ragazzini che corrono, donne accovacciate dietro le pareti, musicisti, presunti scrittori che bruciano le loro opere, coltivatori, animali: un inaspettato giardino rifiorisce, un cane allatta i suoi cuccioli). È semplicemente la casa, che attualizza i ricordi, che li mantiene vivi. Ed è qui, in questa dimensione irreale e straniante, dall'accentuata dilatazione temporale che Bartas, in fin dei conti, ha dimostrato effettivamente di trovarsi... a casa.
Profilo 
https://www.blogger.com/profile/11682335213674485447
Recensioni
http://visionesospesa.blogspot.it/2013/03/in-memory-of-day-passed-by-praejusios.html
http://visionesospesa.blogspot.it/2013/03/the-corridor-koridorius.html
http://visionesospesa.blogspot.it/2013/03/the-house-namai.html

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