Lo spazio tra i banchi

Da Maestrarosalba
La precedente aula, quella dal quale ho raccontato i primi (quasi) tre anni di questo blog, l'avevo ereditata e non ne avevo mai preso pienamente possesso. Non so, c'era dentro di me come un'idea, ma così senza motivo, che sarei dovuta andare via, come se si trattasse di una sistemazione provvisoria.  Salvo il riordinare a fine anno, cioè gettare via tutte i ritagli dei lavori, circolari e comunicazioni ormai inutili, fotocopie di schede, in quell'aula e in quegli armadi c'era di tutto: anni di passato scolastico, avanzi di ricordi di classi ormai andate per la loro strada. 
Il cambiamento di quest'anno ha segnato il passaggio alla stabilità, e così in un'accaldata mattina di settembre ho forgiato gli spazi con il materiale che mi è stato consegnato e con ciò che ho recuperato della vecchia aula.  Ho pensato a tutto: la Lim, il computer desktop, un tavolino per il portatile, gli armadi in bell'ordine, il mobiletto per i quaderni dei bambini. Quella mattina, stanca e sudata mi sono girata prima di uscire e ho guardato con soddisfazione il lavoro di oltre tre ore.  In mezzo alla classe erano restati i banchi, così come il personale li aveva lasciati, dopo le grandi pulizie del rientro: uniti a tre a tre, così che il primo giorno di scuola i bambini si sono seduti su tre di file di sei, gli uni molto vicini agli altri. 
Dopo i primi saluti e gli abbracci siamo tornati alacremente al lavoro, io ho ritrovato i miei alunni e loro hanno ritrovato me. Tutto bene direte voi. Neppure per idea dico io.  Forse qualche collega sveglio ha già capito cosa è capitato, ma io no, io ci ho messo oltre una settimana a capire e almeno tre giorni a chiedermi cosa stava succedendo alla nostra classe. Battibecchi continui, calci agli zaini, prese in giro neppure tanto velate, interruzioni e chiacchere durante qualsiasi attività... 
Parlavo agli alunni e avevo la sensazione netta di avere di fronte un muro, sentivo che qualcosa mi mancava ma non capivo cosa. Ieri durante l'ennesima predica ho detto loro “siete anche così disposti male, in questa nuova classe non funziona più nulla…” ma ancora non capivo.  L'indomani il collega mi ha detto "Sai, tra le poche cose che all'Università ho imparato, una mi è parsa molto utile, pensare bene alla disposizione dei banchi..."  Inutile dire che ci sono arrivata solo qualche minuto prima da sola, ricordandomi la frase detta ai bambini.  Quando, quasi all’improvviso, ho riflettuto sul fatto che la lezione dalla cattedra non l'ho mai fatta, io da sempre giro nei banchi mentre parlo, detto, racconto, chiedo e ascolto, butto uno sguardo ai quaderni se scrivono, mi siedo vicino al bambino che parla, legge o racconta. Perché la cattedra a me serve per infilarci e chiuderci a chiave il registro, mettere le presenze,  e  ogni tanto per poggiarmi a correggere i compiti.  Quando mi siedo perché sono stanca, non sto dietro alla cattedra, ma metto la sedia direttamente di fronte loro. E quelle corsie tra i banchi sparite per qualche giorno non si sa come, sono il legame tra me e loro. Il modo con il quale stiamo veramente insieme: maestra e alunni.  Quell'aiuto dato al volo tra una parola e l'altra del dettato, a volte un incoraggiamento, a volte una carezza o un finto scapaccione, ecco che cosa c'era mancata: la nostra vicinanza anche fisica.  Oggi alle otto ero già sulla strada per scuola, alle otto e dieci avevo già rimesso  i banchi al loro posto. Ho assegnato nuovi posti a tutti, dopo le dovute spiegazioni ho chiesto agli alunni di tornare a comportarsi come hanno sempre fatto, con cordialità, di lasciar perdere i battibecchi e che per favore mi ricordassero prima di andare via di ritirare il pesce per pranzo. 
All'arrivo del collega ero pronta sulla porta e i bambini hanno gridato "Maestraaa il pesceee!!", il collega mi ha guardato e ha detto "Il pesce???" e io ho risposto: "Sì ecco il pesce, ci vediamo stasera. Ciao bambini a domani!! © Crescere Creativamente consulta i Credits o contatta l'autrice.

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