Scrivere è una tortura. È il più sottile piacere masochistico che un uomo possa darsi. Michael Cimino
È con questa citazione che si apre il libro “Lo spettatore immobile. Ennio Flaiano e l’illusione del cinema” di Giacomo Ioannisci, (Ed. Bietti) dedicato al celebre artista e intellettuale abruzzese. Conosco personalmente Giacomo , laureato in Editoria e Giornalismo e collaboratore di diversi quotidiani e riviste specializzate in cinema, letteratura e musica ma per me è prima di tutto un amico, di quelli ritrovati con piacere dopo tanti anni e per questo come non dargli spazio su Oltreloscoglio? Ancor più se ritengo che quest’ultimo suo libro sia in linea con la filosofia guida dei miei post.
Flaiano è stato scrittore, sceneggiatore, giornalista, critico cinematografico e drammaturgo italiano, una personalità sui generis, spesso incompreso per alcune scelte relative a collaborazioni, amicizie, rifiuti e isolamento. Eppure, come spesso accade, è dopo la sua morte che è stato ri-scoperto o meglio, scoperto in tutto il suo valore di uomo e artista. Giacomo Ioannisci ci conduce in un viaggio nella vita di questo uomo dai baffi folti e gli occhiali, abruzzese come lui e come me, attraverso una raccolta di citazioni, considerazioni e note biografiche sapientemente organizzate e distribuite lungo il percorso di lettura che è stato fluito veloce, trovandomi sorprendentemente in sintonia con il protagonista.
Nato scrittore, Flaiano si è poi trovato nel mondo del cinema, come sceneggiatore ha ricevuto il Nastro d’Argento per il progetto di Roma città libera e il periodo più interessante è senza dubbio quello della collaborazione con Fellini (1951-65) per il quale ha scritto I Vitelloni, La dolce vita, Otto e mezzo e altri celebri film. Purtroppo, la sua sensazione era quella di non riuscire ad ottenere i riconoscimenti meritati e di essere l’ombra del genio riminese mentre continuava a tenere molto alla sua “battaglia” affiché ci fosse una pari dignità tra soggetto, sceneggiatura e regia. A colpirmi maggiormente sono state le considerazioni di Flaiano sulla società, così attuali, quasi sovrapponibili a quelle che avrebbe oggi di fronte all’Italia contemporanea. Il nostro Paese non è mai cambiato, come gli italiani che dimostrava di conoscere bene, come non è cambiato il problema sociale dell’indifferenza da lui sottolineato, la finta democrazia del pensiero. Da qui la filosofia del rifiuto e il pessimismo cosmico, dai tratti leopardiani con in più l’umorismo tipico di Flaiano. “Una volta credevo che il contrario di una verità fosse l’errore e il contrario di un errore fosse la verità. Oggi una verità può avere per contrario un’altra verità, altrettanto valida, e l’errore un altro errore”.
“L’essenziale è continuare, non proponendosi necessariamente di colmare l’infinito, benché il desiderio inconfessato sia questa totalità…”
E dopo le dure considerazioni, attraverso la critica dei film, della società in periodo fascista, si aggiungono quelle degli anni ’60, al consumismo e al degrado culturale.
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