Non credo di essere pienamente d’accordo.
Prendiamo Cagliari.
Se tu vai in macchina, per le strade del centro, è probabile che ti incontri (o magari ti scontri) con uno di quei cafoni (mi scuso coi veri cafoni, se ancora ne esistono, per il paragone offensivo) che al volante credono di essere dei “toghi”; e li senti urlare minacciosi, all’indirizzo di qualcuno, che invano ha tentato di fargli osservare, non dico il codice della strada, ma almeno quello delle buone maniere “Ma ita ca… bolisi?” oppure “Su cun… ‘e mamma rua!!!
E questo sarebbe lo spirito di Cagliari??? Non ci credo.
E se provassi a viaggiare in pullman non scopriresti uno spirito più gradevole nell’animo di quei pensionati astiosi che, appena ieri, hanno urlato all’indirizzo di un autista distratto che tardava ad aprire le portine dell’uscita: “Apraaa!!” (con le “a” finali allungate e strozzate, a dimostrazione della scarsa propensione alla cortesia). Ancora mi son rifiutato di riconoscere in quei “mezzo avvelenati” (per dirla con Fabrizio de Andrè) il vero spirito di Cagliari.
Ma allora dove lo andiamo a cercare il vero spirito di Cagliari e dei Cagliaritani?
Dove possiamo indirizzare il turista desideroso di immergersi nell’animo più autentico della città?
Naturalmente lasciamo volentieri l’arduo compito alle guide turistiche specializzate e alle agenzie di viaggio. Loro sapranno consigliare turisti e forestieri per il meglio; magari suggerendo delle appropriate letture (cito a caso le poesie di M.T Mundula; Francesco Alziator; Don Paolo de Magistris; e tanti, troppi ne dimentico).
Io, basandomi sulla mia esperienza di cagliaritano d’adozione, suggerirei una passeggiata mattutina nel quartiere di Castello, una sosta pranzo in un ristorante della Marina e
un tramonto al Poetto, quando si odono solo i gabbiani e i centomila sono rientrati ai loro lidi residenziali.
Poi ricordo un amico della mia adolescenza e della prima giovinezza che adesso non c’è più!
Il suo papà si chiamava Lazzarino e faceva il pescatore, lui, dopo il servizio militare nella Marina, si era dedicato all’arte del fabbro.
Era un amico schietto, sincero e leale. Aveva una forza erculea ma la utilizzava soltanto per lavorare il ferro e per rimediare a qualche sopraffazione cui gli capitasse di assistere. Per il resto aveva un sorriso mite e gentile, una fronte alta, un incarnato perennemente abbronzato su un fisico che piaceva alle donne (e che lui ricambiava con passione).
Era intelligente e, non avendo potuto studiare come avrebbe voluto, gli piaceva apprendere da chi reputava più preparato di lui; di contro detestava gli sciocchi e quelli che parlano a vanvera, senza collegare la lingua al cervello.
Ecco lo spirito dei cagliaritani veri: poche parole; molta riflessione; amore per il mare, per la cucina e per il lavoro. Lealtà, altruismo e probità.
Non male, vecchia Caller; non male.