Mi viene in mente quel mare di pietre ruotanti che come Scilla e Cariddi tormentano nei loro moti continui, nei flussi e riflussi, il suolo e gli spettri del quarto cerchio d’inferno, dentro il Poema di Dante.Gli avari e i prodighi — gli ossessionati da quella medesima febbre di avere denaro per accumularlo e per spenderlo in cose innecessarie — sono difatti legati ad un moto bestiale, irrazionale. Comunque, almeno agiscono: nel lavorare continuamente, compulsivamente per accumulare, o nel cercare ogni occasione possibile per soddisfare e magari giustificare impossibilmente la voglia di acquisti. Peggio di loro son quelli che Dante chiama usurai: quelli che non fanno nulla e che solo si specializzano nello scambiare il denaro, nel darlo per interesse, nell’amministrarlo per speculazioni e, essenzialmente, nel fare scorrere il tempo, nell’aspettare, nel vendere e guadagnare intorno al valore del tempo. I prestatori e banchieri e speculatori — secondo il punto di vista della Divina Commedia — son peccatori contro natura e contro Dio, che è poi il principio creatore e il motore di tutte le cose più naturali. Vendono il tempo, quello che è solo un patrimonio divino e che non possiamo pretendere orgogliosamente e stupidamente di controllare; perché in realtà noi ne siamo soltanto dei temporanei custodi, e non sappiamo quanto ne avremo a disposizione per dare un senso profondo alle nostre vite. Poi gli usurai non lavorano: no, non producono nulla di sostanziale, nel corpo o nella mente.
Quale è lo scopo di questo umano passaggio su questa terra? Il nostro compito primo da quando siamo stati cacciati dal grande giardino — giardino dell’Eden e della gioia iniziale — è quello di lavorare concretamente per sviluppare progetti col corpo e con i pensieri, per noi e per la nostra città, per il mondo. Ma cosa fanno coloro che solo si ingegnano a far fruttare il denaro?… chi sono?… Nel Medioevo qualcuno credeva che le monete fossero sterco del diavolo.
Marino Alberto Balducci
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