Lo stato del mondo: valutare la strategia cinese

Creato il 10 marzo 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

La Cina ha tre interessi strategici centrali.

Il principale è il mantenimento della sicurezza interna. Storicamente, quando la Cina fa affari nel mercato internazionale, come ha fatto nel XIX e XX secolo, la parte costiera prospera mentre l’interno – che inizia a circa 160 chilometri (100 miglia) dalla costa e continua per 1600 chilometri verso ovest – langue. Approssimativamente, due terzi dei cittadini cinesi hanno un reddito familiare più basso di quello medio della Bolivia. La maggior parte dei poveri della Cina si trova ad ovest delle più ricche regioni costiere. Questa disparità di ricchezza ha più volte messo a nudo le tensioni tra gli interessi delle zone costiere e quelli dell’interno. Dopo la fallita insurrezione di Shanghai del 1927, Mao Tze Tung ha sfruttato queste tensioni nella Lunga Marcia verso l’interno del paese, radunando un’armata di contadini fino alla conquista della zona costiera. Ha allontanato la Cina dal sistema di commercio internazionale, lasciandola più unita ed equa, ma estremamente povera.

L’attuale governo ha cercato un modo di raggiungere la stabilità attraverso una maggiore agiatezza: comprando la lealtà popolare con la piena occupazione. I piani per l’espansione industriale sono attuati con poco riguardo per i mercati o i margini; l’obiettivo primario è la massima occupazione. I risparmi privati sono usati per finanziare lo sforzo industriale, lasciando poco capitale in patria per acquistare i prodotti. La Cina deve perciò esportare.

Il secondo interesse strategico deriva dal primo. La base industriale cinese produce più di quanto la sua economia possa consumare, e per questo la Cina deve esportare beni verso il resto del mondo e importare materiali grezzi. I cinesi quindi devono fare qualunque cosa possibile per garantire la domanda internazionale per le loro esportazioni. Questo include tutta una serie di attività, dall’investire nelle economie dei paesi consumatori all’assicurarsi accesso illimitato alle rotte marittime globali.

Il terzo interesse strategico consiste nel mantenere il controllo sugli Stati-cuscinetto. La popolazione dello storico entroterra cinese han è raggruppata nel terzo più orientale del paese, che grazie alle abbondanti precisazioni si distingue dai più aridi due terzi centro-occidentali. La sicurezza geografica cinese quindi dipende dal controllo dei quattro Stati-cuscinetto non-han che la circondano: Manciuria, Mongolia interna, Xijniang e Tibet. Assicurarsi queste regioni per la Cina vuol dire potersi proteggere a nord dalla Russia, e da qualunque attacco dalle steppe occidentali, o proveniente dall’India o dal Sudest asiatico.

Controllare gli Stati-cuscinetto assicura delle barriere geografiche alla Cina – giungle, montagne, steppe ed il deserto siberiano – che sono difficili da sormontare e creano una difesa in profondità che pone qualunque aggressore in grave svantaggio.

Interessi contrastati

Oggi la Cina deve affrontare delle sfide rivolte contro tutti e tre i suoi interessi vitali.

La flessione economica in Europa e negli Stati Uniti, i due maggiori acquirenti di beni cinesi, ha messo le esportazioni di fronte ad un aumento della competizione e ad una riduzione della domanda. Nel frattempo, la Cina non è riuscita ad aumentare a sufficienza la domanda interna né a garantirsi un accesso alle rotte marittime globali indipendente dalle concessioni che la U.S. Navy è disposta a fare.

Le tensioni economiche sono un problema anche interno per la Cina. La ricca parte costiera dipende dal commercio, che è in diminuzione, e la parte interna più povera ha bisogno di sussidi che sono difficili da mettere a disposizione quando la crescita economica è in considerevole rallentamento.

Inoltre, due delle regioni cuscinetto della Cina sono in fermento. Alcuni elementi all’interno del Tibet e dello Xinjiang resistono apertamente all’occupazione dei cinesi Han. La Cina ha capito che la perdita di queste regioni potrebbe mettere in serio pericolo la sicurezza del paese, in particolare se queste perdite portassero l’India a nord dell’Himalaya o creassero un regime islamico radicale nello Xinjiang.

La situazione potenzialmente più problematica è in Tibet. La prospettiva di una guerra tra India e Cina – qualcosa che vada oltre piccole schermaglie – è impossibile finché entrambe le nazioni sono separate dall’Himalaya. Nessuno dei due lati è in grado di sostenere logisticamente una guerra su larga scala in quel territorio. Ma India e Cina potrebbero minacciarsi seriamente se una o l’altra riuscisse ad attraversare l’Himalaya e stabilire una presenza militare sull’altro lato della catena montuosa. Per l’India la minaccia emergerebbe se le forze cinesi entrassero in forze in Pakistan. Per la Cina, la minaccia si attuerebbe se un gran numero di truppe indiane entrasse in Tibet.

Quindi la Cina si comporta costantemente come se stesse per mandare un gran numero di forze in Pakistan, ma in realtà i pakistani non sono interessati ad un’occupazione cinese de facto — anche qualora l’occupazione fosse diretta contro l’India. Allo stesso modo, i cinesi non sono interessati ad affrontare operazioni di sicurezza in Pakistan. Gli indiani non hanno interesse nel mandare forze in Tibet nell’eventualità di una rivoluzione tibetana. Per l’India, un Tibet indipendente senza le forze cinesi sarebbe interessante, ma non altrettanto un Tibet dove gli indiani fossero costretti ad impegnare un numero di forze significativo. Per quanto i tibetani rappresentino un problema per la Cina, il problema è gestibile. Gli insorti tibetani ricevono forse un qualche incoraggiamento e supporto dall’India, ma non abbastanza da diventare una minaccia al controllo cinese.

Finché i problemi interni alla Cina degli Han sono gestibili, lo è anche la dominazione sugli Stati-cuscinetto, sebbene con qualche sforzo e alcuni danni all’immagine cinese all’estero.

La chiave per la Cina è mantenere la stabilità dell’interno. Se questa porzione della Cina han si destabilizza, il controllo delle zone cuscinetto diventa impossibile. Mantenere la stabilità dell’interno richiede il trasferimento di risorse, che si traduce nella continua crescita dell’economia costiera cinese per generare il capitale da trasferire verso l’interno. Nel caso in cui le materie prime cessassero d’affluire ed i prodotti di defluire, la diminuzione delle entrate nell’interno porterebbe in breve termine la situazione politica a livelli esplosivi. (La Cina di oggi è lontana da quella della rivoluzione, ma le tensioni sociali stanno crescendo, e il paese deve usare il suo apparato di sicurezza e l’Esercito di Liberazione del Popolo per controllarle).

Mantenere questi flussi è una sfida considerevole. Il modello occupazionale e di mercato stesso non alloca bene molte risorse, rompendo il normale auto-regolarsi di domanda ed offerta. Uno dei risultati più distruttivi è l’inflazione, che alza i costi necessari a sovvenzionare l’interno mentre erode la competitività cinese rispetto ad altri esportatori a basso costo.

Per i cinesi questa rappresenta una sfida strategica, una sfida che può essere vinta solo accrescendo le possibilità di profitto nelle attività economiche. Questo è praticamente impossibile per produttori di beni a basso valore aggiunto. La soluzione è iniziare a produrre beni ad alto valore aggiunto (meno scarpe, più automobili), ma per questo è necessaria una diversa forza lavoro, con maggiore formazione ed esperienza rispetto all’abitante medio della costa (per non parlare di quello dell’interno). Richiede anche di mettersi in competizione diretta con le economie consolidate di Germania, Giappone e Stati Uniti. Questo è un campo di battaglia strategico che la Cina deve affrontare se vuole mantenere la stabilità.

La componente militare

Oltre ai problemi con il suo modello economico, la Cina si trova alle prese con un problema militare fondamentale. La sopravvivenza del paese dipende dal mare aperto. La configurazione del Mar Cinese Meridionale e del Mar Cinese Meridionale rendono il paese assai vulnerabile ad un blocco nalvale. Il Mar Cinese Orientale è racchiuso tra Corea, Giappone e Taiwan, con una fila di isole a collegare quest’ultimi. Il Mar cinese Meridionale è ancora più chiuso da una linea che va da Taiwan alle Filippine e dall’Indonesia a Singapore. La grande preoccupazione strategica di Pechino è che gli Stati Uniti possano imporre un blocco alla Cina non posizionando la loro Settima Flotta all’interno delle due barriere insulari, ma al loro esterno. Da lì gli Stati Uniti costringerebbero la Cina a mandare le sue forze navali molto lontano dalla terraferma nel tentativo di aprire un varco – e dovrebbero farlo fronteggiando le navi da guerra nordamericane.

Ad aggravare il problema c’è il fatto che la Cina non ha una capacità navale in grado di sfidare la potenza statunitense. La Cina sta ancora finendo la sua prima portaerei; la sua marina è inadeguata, in termini quantitativi e qualitativi, per poter sfidare gli Stati Uniti. Ma l’hardware navale non è il problema maggiore. Gli Stati Uniti hanno commissionato la loro prima portaerei nel 1922, e da allora continuano a perfezionare gli aerei e le tattiche dei gruppi da battaglia. Servono generazioni per poter addestrare ammiragli e personale capaci di comandare i gruppi di battaglia d’una portaerei. Dato che i cinesi non hanno mai avuto simili gruppi di battaglia, nessun loro ammiraglio ne ha mai comandato uno

La Cina è conscia del problema e ha deciso di usare una strategia diversa come deterrente ad un blocco navale degli USA: missili anti-nave capaci di fronteggiare e forse penetrare i sistemi di difesa delle portaerei nordamericane, ed una sostanziosa presenza sottomarina. Gli Stati Uniti non vogliono uno scontro con la Cina, ma se le cose dovessero cambiare, la risposta cinese porrebbe non poche difficoltà.

La Cina ha un robusto sistema missilistico basato a terra, sistema che è naturalmente vulnerabile ad attacchi di missili da crociera, aerei, droni attualmente in corso di sviluppo, ed altri tipi ancora. La capacità cinese di combattere una battaglia prolungata è limitata. Inoltre, una strategia missilistica è efficace solo unita ad un’efficiente capacità di ricognizione. Non si può distruggere una nave senza sapere dove si trova. Per questo è necessario un sistema spaziale in grado di identificare le navi statunitensi ed un sistema strettamente integrato di controllo del fuoco. Ciò solleva un’altra questione: gli Stati Uniti hanno capacità anti-satelliti?. Assumiamo di sì: se gli USA decidessero di ricorrervi, la Cina rimarrebbe accecata.

La Cina sta quindi corredando questa strategia sviluppando accessi portuali in paesi dell’Oceano Indiano e al di fuori dell’area del Mar Cinese Meridionale. Pechino pianifica la costruzione di porti in Myanmar, paese che accarezza l’idea di porre fine al suo isolamento internazionale, ed in Pakistan. La Cina ha già finanziato e sviluppato accessi portuali a Gwadar in Pakistan, Colombo e Hambantota in Sri Lanka, Chittagong in Bangladesh, e spera di poter costruire un porto d’acqua profonda a Sittwe, in Myanmar. Per rendere questa strategia efficace, tuttavia, la Cina ha bisogno di infrastrutture che facciano da collegamento tra se stessa ed i porti. Ciò significa una vasta rete ferroviaria e stradale. Non devono essere però sottovalutate le difficoltà di queste costruzioni, ad esempio in Myanmar.

Ancor più importante, la Cina ha bisogno di mantenere relazioni politiche che gli permettano un accesso ai porti. Il Pakistan e il Myanmar, ad esempio, hanno un certo grado di instabilità, e la Cina non può dare per scontato di trovare sempre governi cooperativi in questi paesi. Nel caso del Myanmar, le recenti aperture politiche potrebbero risultare nell’uscita di Naypyidaw dalla sfera d’influenza cinese. C’è la concreta possibilità che si costruiscano un porto e delle strade, e che successivamente un colpo di stato o un’elezione possano creare un governo anti-cinese. Dato che questo è uno degli interessi strategici fondamentali della Cina, Pechino non può dare per scontato che la costruzione di un porto voglia dire avervi un accesso illimitato. A questo va aggiunto che strade e linee ferroviarie sono facilmente soggette a sabotaggi da parte di guerriglieri, o possono essere distrutte da attacchi missilistici o aerei.

Affinché i porti nell’Oceano Indiano si rivelino utili, Pechino deve avere fiducia nella sua abilità di controllare la situazione politica a lungo termine in questi paesi. Ciò può essere garantito solo avendo disponendo d’una forza impari in grado di aprirsi l’accesso ai porti ed ai sistemi di trasporto. E’ importante tenere a mente che dall’ascesa al potere dei comunisti la Cina ha raramente intrapreso operazioni militari offensive – e quando l’ha fatto, con risultati non molto brillanti. L’invasione del Tibet ebbe successo, ma vi trovò una resistenza minima. L’intervento in Corea portò ad uno stallo, ma con costi orrendi per i cinesi, che sopportarono le perdite ma da allora in poi sono stati più prudenti. Nel 1979 la Cina ha attaccato il Vietnam ma ha subito una sconfitta significativa. Il paese è riuscito a dare di sé un’immagine di forza militare competente, ma in realtà ha avuto poca esperienza nella proiezioni di forza, e quel poco di esperienza non è stata piacevole.

Sicurezza interna vs. proiezioni di potenza

La ragione di quest’inesperienza deriva dalla sicurezza interna. L’Esercito di Liberazione del Popolo (PLA) è primariamente pensato come una forza di sicurezza interna – una necessità, vista la storia di tensioni interne della Cina. Il problema non è se la Cina stia attualmente vivendo queste tensioni; il problema è che sono possibili. Una strategia prudente richiede la creazione di forze in grado di affrontare le situazioni peggiori. Essendo stato pensato per la sicurezza interna, il PLA è dottrinalmente e logisticamente restio alle operazioni offensive. Usare una forza addestrata per la sicurezza come forza per operazioni offensive, porta certamente alla sconfitta o ad una dolorosa situazione di stallo. E data la portata dei potenziali problemi interni della Cina e la sfida che comporta occupare un paese come il Myanmar, senza parlare del Pakistan, creare una forza secondaria di capacità sufficiente non sarebbe un problema in termini numerici, ma andrebbe certo oltre le capacità logistiche e di comando della Cina. Il PLA è stato creato per controllare la Cina, non per imporre il potere all’esterno, e strategie che prevedano una possibile proiezione di potenza sono quantomeno rischiose.

E’ da notare che dagli anni ’80 i cinesi stanno tentando di trasferire le responsabilità della sicurezza interna alla Polizia Armata del Popolo, alle forze di confine e ad altre forze di sicurezza interne che sono state ampliate e addestrate per affrontare problemi di instabilità sociale. Nonostante questa ristrutturazione, rimangono enormi limitazioni alla capacità cinese di proiettare la sua potenza militare su una scala sufficiente a sfidare direttamente gli Stati Uniti.

C’è una scissione tra la percezione della Cina come potenza regionale e la realtà. La Cina può controllare il suo interno, ma la sua capacità di controllare i vicini attraverso la forza militare è limitata. Infatti, la paura di un’invasione cinese di Taiwan è infondata. La Cina non può portare avanti un assalto anfibio a quella distanza, per non parlare della capacità di sostenere logisticamente un combattimento prolungato. Un’opzione che può portare avanti è quella di creare azioni di guerriglia in posti come le Filippine o l’Indonesia. Il problema con queste strategie di guerra è che la Cina ha bisogno di aprirsi rotte marittime, e le azioni di guerriglia – persino quelle armate con missili anti-nave o mine – possono al massimo chiuderle.

La soluzione politica

La Cina sta quindi affrontando un problema strategico importante. Deve basare la sua strategia di sicurezza nazionale su ciò che sono in grado di fare gli Stati Uniti, non su ciò che Pechino sembra volere al momento. La Cina non può opporsi agli Stati Uniti in mare, e la sua strategia di costruzione di porti nell’Oceano Indiano risente degli immensi problemi di costo e delle condizioni politiche incerte. Le richieste di creazione di una forza in grado di garantire vie d’accesso si oppongono alle necessità di sicurezza interna della Cina stessa.

Finché gli Stati Uniti saranno la potenza navale più imponente al mondo, la strategia della Cina dev’essere quella della loro neutralizzazione politica. Pechino deve però assicurarsi che Washington non si senta tanto sotto pressione da scegliere il blocco come opzione. Quindi, la Cina deve presentarsi come una parte essenziale della vita economica statunitense. Gli Stati Uniti, tuttavia, non vedono necessariamente l’attività economica cinese come un beneficio, e la Cina potrebbe non riuscire a mantenere la sua posizione unica con gli Stati Uniti in modo indefinito. Esistono delle alternative più economiche. La retorica ufficiale cinese e le posizioni inflessibili, pensate per creare supporto nazionale interno, possono essere politicamente utili, ma mettono a dura prova le relazioni con gli Stati Uniti. Non le mettono in crisi al punto di rischiare un conflitto militare, ma vista la debolezza della Cina, qualunque tensione può essere pericolosa. I cinesi credono di sapersi destreggiare tra i discorsi di retorica ed il pericolo reale degli Stati Uniti. Tuttavia l’equilibrio resta molto delicato.

C’è la percezione che la Cina stia accrescendo il suo potere regionale e persino globale. Potrebbe essere così, ma il paese è ancora molto lontano dal risolvere i suoi problemi strategici e ancor più dal poter sfidare gli Stati Uniti. Le tensioni all’interno della strategia della Cina sono certamente debilitanti, se non fatali. Tutte le sue opzioni hanno gravi debolezze. La reale strategia da percorrere dev’essere quella di evitare di fare scelte strategiche rischiose. La Cina è stata fortunata per i 30 anni passati perché ha potuto evitare di prendere queste decisioni, ma Pechino manca totalmente degli strumenti necessari per modificare queste condizioni. Considerando quanto del mondo cinese è attualmente in gioco – le dispute sull’energia sudanese e i salti in avanti nelle sperimentazioni politiche in Myanmar – quella in atto è essenzialmente una politica di fiducia cieca.

(Traduzione di Valentina Bonvini)


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