Già che le banche abbiano qualcosa da raccontare probabilmente, di questi tempi, importa a pochi. Gli istituti di credito, poi, si sa, da qualche anno a questa parte sono visti come il fumo negli occhi, e la diffidenza nei confronti di un mondo ritenuto poco trasparente continua ad essere altissima un po' a tutti i livelli.
Eppure nei giorni scorsi (dal 17 al 19 settembre 2013) Banca Ifis ha "ingaggiato" otto storyteller(tra i quali chi scrive) per accompagnare, con un racconto in tempo reale tramite i social network, la seconda edizione del suo Npl meeting, evento dedicato ai maggiori gestori internazionali dei crediti a riscossione incerta (per questo definiti "non performanti"), anticipata da due giorni di workshop che hanno visto all'opera otto gruppi di start upper e innovatori nella progettazione di nuovi strumenti per il mondo del credito.
Sana incoscienza, si diceva, perché si sa quanto importante sia il controllo del "si parla di noi", soprattutto nei settori dove scorrono fiumi di denaro anche in proporzione a impressioni e sensazioni degli investitori. Ma nulla di strano è successo. Da un parte, una banca che evidentemente non ha timori a mostrarsi dal suo interno (gli storyteller sono stati ospitati per tre giorni nella sede direzionale di Banca Ifis, a Mestre, a stretto contatto con le più alte cariche, compreso l'Amministratore delegato, Giovanni Bossi), dall'altra narratori curiosi, provenienti da prestigiosi corsi di giornalismo nazionali (quello in “Giornalismo scientifico digitale” della scuola Sissa di Trieste e il Master in “Giornalismo economico e Comunicazione multimediale” della Businnes school del Sole24ore, di Milano).
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Alla fine hanno prevalso i cinguettii, i tweet. Il social network dell'uccellino azzurro è stato il più utilizzato (se non l'unico) dai giovani giornalisti che hanno condiviso con le loro reti impressioni, immagini, pensieri e qualche anticipazione dei progetti, dalla loro gestazione alla presentazione pubblica, fino alla premiazione.
L'esperienza è sicuramente curiosa, e c'è da augurarsi che possa fare scuola. Rinnovare il linguaggio un po' ingessato (e di conseguenza un'immagine da sempre color seppia) di certi ambienti può far bene, e non solo alla banca. Il "mondo esterno" può tornare a rendersi conto che dietro a numeri e operazioni anche molto complesse ci sono sempre, comunque, persone; di contro chi in banca lavora, può forse riscoprire un'attenzione alla realtà, al quotidiano, che l'asetticità di cifre e bilanci porta, a volte, a smarrire.
Se non altro, per ora, si è visto qualcosa di nuovo. Qualche criticità rimane (soprattutto a livello organizzativo), ma solleticano la voglia percepita di "cambiare abito" (tra i gessati si son visti anche jeans e camicie a quadri) e il coraggio di proporre una forma di racconto nuova, quantomeno per il settore bancario.
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