Elisa Lam era sola quel giorno? Da chi si nascondeva? Stava fuggendo da qualcuno? Che ne è stato di lei quando è sparita dal campo visivo della telecamera? E soprattutto, quali sono state esattamente le circostanze che l’avrebbero portata in quella maledetta cisterna sul tetto dell’edificio? A tutte queste domande tenteremo oggi di dare una risposta. Abbiamo visto, nei giorni precedenti, di quanti e quali indizi si siano arricchite le speculazioni di chi ha cercato a ogni costo di trovare una soluzione all’enigma del video registrato dalla telecamera di sorveglianza. Su alcuni di questi vale la pena soffermarsi; altri particolari sono invece più che altro il frutto della follia paranoica dei tanti piccoli Dylan Dog che infestano la rete. Tra questi, la pretesa di voler vedere in quella “strana nebbiolina” visibile al minuto 3:05 i contorni di un volto demoniaco e, giusto per non farsi mancare nulla, il volto di uno dei serial killer che anni prima avevano alloggiato al Cecil Hotel. In questo caso siamo ben oltre un semplice fenomeno di pareidolia, ma siamo anche davvero oltre la soglia del ridicolo. Molto più significativa è invece l’evidenza del taglio apportato al video di Elisa prima che questo venisse diffuso in rete. Anche se non vi fosse stato chi, come il curatore della prova video pubblicata in chiusura del post precedente, si fosse messo ad analizzare lo scorrere dei secondi, parzialmente celati da quella stana crittografia (non mi viene in mente un termine migliore) aggiunta chissà quando e chissà per quale motivo, sulla presenza di un taglio ci si sarebbe potuti arrivare ugualmente osservando il video: se vorrete soffermarvi sul minuto 2:57, noterete senz'ombra di dubbio qualcosa di strano nel modo in cui le porte dell’ascensore si chiudono. È quella la prova della mancanza di alcuni fotogrammi e, di conseguenza, la prova che vi sia stata una manipolazione. Il motivo di tale manipolazione? Non è dato saperlo ma, prima di gridare al complotto, si potrebbe semplicemente ipotizzare un taglio atto a eliminare da un video un lungo quanto insignificante minuto.
Veniamo ora a tutte le domande che abbiamo accumulato sinora e cerchiamo di trovare delle risposte partendo dall’unica certezza che gli inquirenti hanno portato alla luce, vale a dire il quadro clinico di Elisa Lam antecedente al suo viaggio. Premesso che tutti noi siamo portati a credere all’irrazionale quando non troviamo delle risposte razionali alle nostre domande; premesso che tutti noi, in casi come questo, tendiamo ad azzardare ipotesi sovrannaturali, tirando in ballo demoni e fantasmi; premesso che il mondo in cui viviamo ci consente di parlare di cospirazioni anche dove è ovvio che non ve ne possano essere; premesso tutto questo, e scartando ciò che è palesemente campato per aria, ciò che rimane è la soluzione più semplice e ovvia: Elisa Lam era in preda a un episodio psicotico.
La protagonista di questa bizzarra vicenda non era una ragazza qualunque: a Elisa Lam era stato infatti diagnosticato tempo addietro un disturbo bipolare, vale a dire una sorta di psicosi maniaco-depressiva che porta il paziente che ne soffre a manifestare comportamenti anomali, caratterizzati da bruschi cambi di umore nonché da episodi di iperattività, loquacità e manie di grandezza contrapposti a insonnia, depressione e perdita di attenzione. Sarebbe interessante (e probabilmente decisivo) se tra i miei lettori vi fosse un esperto di psichiatria che potesse confermarne i sintomi, ma se così non fosse, anche per noi che di queste cose capiamo poco o nulla, credo non possano esservi dubbi sul fatto che Elisa Lam, quel giorno, non fosse completamente in sé.
Una spiegazione soddisfacente? Forse, ma anche dando per scontato l’episodio psicotico, esso da solo non basta a spiegare le circostanze della sua morte. Come ha fisicamente potuto Elisa salire da sola in cima al tetto, arrampicarsi sulla cisterna e buttarvisi dentro? C’è qualche particolare che non torna. Inoltre, Elisa era sola quel giorno? Da chi si nascondeva? Stava fuggendo da qualcuno? Che ne è stato di lei quando è sparita dal campo visivo della telecamera? Partiamo dalla supposizione che vi fosse qualcuno che stesse davvero inseguendo Elisa. Osservando nuovamente il video, ora che conosciamo le alterate condizioni psicologiche della vittima, possiamo rispondere quasi senz'ombra di dubbio che non c'era nessun altro. Lo si intuisce dai primissimi fotogrammi che mostrano le porte dell’ascensore aprirsi ed Elisa apparire da sinistra. È evidente che l’ascensore era appena giunto al piano chiamato proprio della ragazza. Se davvero ci fosse stato un inseguitore, Elisa avrebbe davvero atteso l’arrivo dell’ascensore? Se ci fosse stato qualcun altro, perché non proseguire oltre e raggiungere una delle tante rampe di scale che, dalla mappa che ho riportato qui sopra, di sicuro non mancavano?E per quanto riguarda il mistero delle porte dell’ascensore che non si chiudono? Basta dare un’occhiata più da vicino alla pulsantiera di tale ascensore (vedere immagine in cima): uno dei tasti riporta la scritta “DOOR HOLD”, un pulsante che evidentemente serve proprio per mantenere aperte le porte dell’ascensore (e nel video si nota benissimo che, fra i tanti, anche quel tasto viene premuto da Elisa).
Veniamo infine alle questioni più importanti: come ha potuto Elisa Lam recarsi non vista sul tetto dell’hotel visto che tutti gli accessi, porte e scale, risultavano chiusi a chiave? Come ha potuto gettarsi dentro un serbatoio praticamente inaccessibile? Davvero tutti gli accessi al tetto erano chiusi a chiave? Il serbatoio era davvero inaccessibile come si continua a sostenere un po’ ovunque? Non ne sarei così tanto sicuro. E l’immagine qui di seguito dimostrerebbe, senza tante storie, come l’accesso al tetto e, di conseguenza, alla cima del serbatoio non fosse stata un’impresa così impossibile.
Sebbene il caso sia stato archiviato come suicidio, ad oggi diversi altri quesiti rimangono senza risposta. Perché Elisa avrebbe scelto un modo così complesso di suicidarsi invece di emulare i tanti ospiti del Cecil che, nel corso degli anni, hanno trovato la morte (da suicidi o meno) attraverso le finestre delle proprie camere? Perché mettere al sicuro le chiavi della stanza e l’orologio prima di gettarsi nella cisterna? Dov'è finito il suo cellulare che, a proposito, non fu mai ritrovato? Qual è il significato di quell’ultimo, quasi illeggibile e criptico post che Elisa pubblicò sul suo blog? Perché quel suo blog, che alternava immagini di moda a frasi di depressione e morte, continuò a venire aggiornato anche dopo la scomparsa di Elisa? Tutte domande alle quali, alla luce dei fatti sopra esposti, è possibile azzardare una risposta piuttosto soddisfacente. La vera domanda, adesso che questa mia lunga analisi è giunta alla sua conclusione, è però un’altra: perché mai è stato permesso a Elisa Lam, considerate le sue fragili condizioni mentali, di avventurarsi tutta sola in un viaggio del genere? Questo, a mio modesto parere, è stato il vero e unico delitto nello strano caso di Elisa Lam.