Il tema finora è stato quasi un tabù. E’ un soggetto delicato, per non dire scabroso, in quella nuova “tribù” mondiale che sono i praticanti di yoga. La convinzione che lo yoga abbia virtù quasi miracolose, per raggiungere l’equilibrio psico-fisico, la forma perfetta e la pace interiore, sta assumendo le caratteristiche di una religione. Essendo un “praticante” di lunga data posso scrivere senza auto-censure. Da tempo ho avvertito segnali in contro-tendenza, che smentivano le certezze più diffuse. Per esempio, a New York ho un maestro con seri acciacchi a rotule e menisco. E una guru donna per settimane ha avuto una caviglia fuori uso. Non che li credessi dei supermen, invulnerabili e infrangibili, ma lo yoga non avrebbe dovuto proteggerli? I più bravi dei miei maestri, peraltro, mi hanno colpito per la loro prudenza: tante raccomandazioni prima di cominciare le posizioni a testa in giù, avvertimenti sui rischi per il collo. Da uno dei miei guru, Tom, ho appreso la triste notizia che stando a testa in giù si accentuano i rischi per chi è soggetto a glaucoma (nel mio caso una probabilità ereditaria elevata). Ora il tabù
Danielle Levitt for The New York Times
viene infranto da un libro: “The Science of Yoga: Risks and Rewards”, frutto delle inchieste di un “confratello” di yoga, William Broad, che ne ha pubblicato un’anticipazione sul magazine del New York Times. Le foto che accompagnano l’articolo sono scherzose, i contenuti no. Broad, pur continuando a praticare lo yoga, spezza l’omertà e porta alla luce un’impressionante mole di studi sui danni della disciplina. Alcuni sono usciti sulle più importanti riviste mediche, il Journal of the American Medical Association e il British Medical Journal. Altri hanno trovato ospitalità perfino sul “nostro” organo ufficiale, lo Yoga Journal, il cui esperto sanitario Timothy McCall ha iniziato una crociata contro l’uso dissennato dello yoga.Il problema, infatti, non è lo yoga: siamo noi. Le ragioni per cui l’esercito delle sue vittime cresce di anno in anno, sono tre. Al primo posto c’è la contraddizione fra il nostro stile di vita – le giornate di lavoro seduti a una scrivania, curvi su un computer – e una pratica nata in India in epoche in cui la gente stava normalmente inginocchiata, accovacciata, in pose “naturali” da cui sono derivati molti esercizi di yoga. Secondo: lo yoga è diventato una moda di massa, solo negli Stati Uniti i suoi adepti sono quintuplicati in un decennio balzando da 4 milioni nel 2001 a 20 milioni oggi. La diffusione di massa ha avvicinato a questa disciplina un numero crescente di persone inadatte, con problemi fisici pregressi, fragilità palesi o nascoste. La massificazione porta anche a uno scadimento nella qualità dei maestri: alcuni sono dilettanti allo sbaraglio, attratti dal business che moltiplica palestre specializzate in ogni metropoli d’America. Al terzo posto viene lo “scontro di civiltà”, che si verifica quando una disciplina indiana attecchisce in una cultura individualista e competitiva. “Uno dei problemi è l’ego – conferma Black – lo yoga dovrebbe insegnarci a ridimensionare il nostro ego, invece in troppe scuole americane lo vedo spinto agli estremi, in uno sforzo di realizzare performance sempre più avanzate”. Se lo stretching dei tendini diventa un’ossessione, o quando il peso del corpo infierisce senza cautela sulle vertebre cervicali, l’incidente è dietro l’angolo. La direttrice dello Yoga Journal, Kaitlin Quistgaard, conferma il pericolo: “Ho sperimentato sulla mia pelle sia le virtù terapeutiche dello yoga, sia i danni che può fare”. Black conclude: “Dovrebbero praticarlo solo persone in ottima forma. Oppure va esercitato a scopi terapeutici, ma sotto una sorveglianza accurata e competente”.