Regia: Clint Eastwood
Cast: Morgan Freeman, Matt Damon, Tony Kgoroge, Marguerite Wheatley
Estate 1995. Me ne tornavo da scuola con lo zainetto Invicta Jolly sulle spalle, contento di aver finalmente finito le medie e di poter passare al liceo. Ero ignaro del fatto che molte cose sarebbero cambiate profondamente. Ignaro del fatto che quell'estate sarei cresciuto, avrei scoperto la musica e un pianeta chiamato Ragazze.
Nel frattempo, quella stessa estate, un certo Nelson Mandela stava combinando qualcosa di un filo più importante, unificando tutto il suo Sud Africa sotto un’unica bandiera, un unico inno, un’unica squadra di rugby.
Clint Eastwood nel riempire il suo zainetto “Invictus” ha tentato di bilanciare attentamente il peso, in modo da non doversi portare sulle spalle un peso eccessivo e farsi venire la scogliosi. Le parti sportive e quelle politiche non hanno mai la meglio sulla dimensione umana della vicenda. Giusto nella partita finale il regista dagli occhi di ghiaccio si dilunga un po’ troppo concentrandosi sul match di rugby.
Clint per fortuna non cede alla retorica (non troppo, almeno) e realizza con l’aiuto di Morgan Freeman e Matt Damon un film asciutto, con una regia classica ed essenziale persino più del suo solito. Quasi come se si volesse fare totalmente da parte per far parlare la Storia. Una cosa che l’ego smisurato di molti altri registi non avrebbe mai nemmeno concepito. Così come pochi conservatori (categoria cui il vecchio Clint dovrebbe appartenere, in teoria) concepirebbero un’altra intelligente pellicola sul tema del razzismo dopo “Gran Torino”. Fare le cose in maniera diversa da quanto gli altri si aspettano. È questo che fanno i Grandi. È questo che fa Nelson Mandela.
Dopo quasi 30 anni di ingiusta prigionia, una volta libero Mandela non cerca la vendetta né cede allo scontro, ma concede anzi il perdono ai suoi carcerieri. Al nemico. Un punto di vista distante da me e da molte pellicole che adoro (“Kill Bill”, “V per vendetta”, “Old Boy”, "Ghost Dog", per dire) che però mi ha fatto molto pensare. Perché ciò che racconta “Invictus” non è tanto la storia di un mondiale di rugby, quello interesserebbe giusto ai fratelli Bergamasco. Ciò che racconta è come si possa cambiare le proprie posizioni e imparare dal confronto con gli altri. Cercare l’unione anziché la divisione. E avere speranza. Se c’è riuscito Madiba (così viene chiamato Mandela dalla sua gente) a mantenerla nonostante sia rimasto chiuso per tutti quegli anni in un buco di prigione, perché non dovremmo riuscire ad averla noi che abbiamo tutto il potere e la Libertà di cambiare lo stato attuale delle cose?
Un film che fa riflettere, dunque, ma soprattutto un film che mi ha ridato una cosa che credevo di avere smarrito insieme allo zainetto Invicta delle medie.
Ispirazione.
(voto 8)