“LO ZAINO DI RACHELE” di Eleogivio Tani per "Wine on the road", concorso letterario 2011 di Villa Petriolo
Da SilviamaestrelliContinua su DiVINando la pubblicazione di tutti i racconti partecipanti al quinto concorso di Villa Petriolo “Wine on the road”!
Eleogivio Tani è nato a Lugo (Ra) nel 1947 da padre noto pittore, scultore e caricaturista romagnolo, e madre leccese. Dopo il diploma di Perito industriale, ha studiato Economia e Commercio all’ Università Cattolica di Milano. Ex quadro caposervizio gruppo Fiat, partecipò alla marcia dei 40000 agli inizi degli anni ottanta. Ha appena vinto la sua guerra contro il tumore durato 20 anni. Ha ottenuto sempre premi in occasione di alcune partecipazioni a concorsi letterari ed ha pubblicato due libri di poesia e narrativa.
Racconto “LO ZAINO DI RACHELE” di Eleogivio Tani
Quella sera novembrina, Milano era un blocco di umida nebbia, qua e là illuminata dalle luci colorate dei traffico arrogante e dei negozi colmi di gente in corsa.
Rachele camminava decisa col suo zaino colmo e pesante con quel cappuccio nero appuntito che la faceva sembrare una piccola befana, intenta a portare i suoi doni.
La conobbi al secondo anno di Economia alla Cattolica mentre alle mie spalle, durante la lezione di matematica, strisciava i suoi ferri per farsi una grande sciarpa di lana dai mille colori.
Allora, nel 72, io avevo 25 anni e lei la veneranda età di 60, alla ricerca della sua terza laurea.
Altre volte la vedevo mentre arrancava le scale mobili della metropolitana e mi domandavo come poteva, alla sua età, avere ancora così tanta energia e forza di vivere.
Nello zaino, oltre ai libri, ci teneva di tutto: foulard, berretti, calze, bottiglie, panini, bicchieri, una bottiglietta di vino rosso e persino una piccola padella in cui cucinava ogni tanto per strada accendendo una bomboletta da campeggio.
A sentirla parlare non era per nulla ciò che sembrava. La sua dialettica era sciolta, colta e perspicace e il suo sguardo spesso mi anticipava i pensieri, come se già sapesse quello che avevo in mente di domandarle.
Entrambi eravamo studenti serali di economia, io al mio secondo anno e lei al quarto.
La differenza tra noi era enorme, forse abissale. Ciò che ci univa erano alcune aule e alcune strade milanesi che casualmente frequentavamo contemporaneamente.
Quella sera, proprio quell’ultima sera, trovai il coraggio per chiederle come mai tanto zelo e tanta ritrovata energia per una ulteriore laurea che non le avrebbe dato altro, oltre l’onore.
“ Sono sempre stata una donna sola, ho viaggiato in roulotte tutta la vita, e solo adesso, che sono in pensione, posso finalmente dedicarmi alla mie passioni” mi rispose.
“Ho amato la roulotte come tutti amano la loro casa, col vantaggio di poter viaggiare continuamente in lungo e in largo senza orari e senza meta” continuò.
Mentre diceva ciò il mio sguardo si posò su quello zaino stracolmo e su quella facilità di trovare un luogo sereno ed appartato in cui poterlo aprire ed estrarre tutti gli oggetti che le sarebbero occorsi.
La sua era dunque una consolidata abitudine di portare con se tutto ciò che le sarebbe occorso o che le avrebbe fatto piacere avere.
Da anni non viveva più in roulotte, ma aveva conservato un forte e organizzato senso del possesso e dell’utilità di attrezzature e strumenti di cui non poteva farne a meno.
Eppure i suoi abiti erano puliti e a volte profumati, la sua andatura energica e riposata ed il suo vestiario spesso cambiava stile rimanendo comunque sempre assai personalizzato.
Sullo zaino una sua consunta poesia diceva :
Si è fatta sera,
il camminare è tanto,
Il giorno non bastò
a sciogliere il mio pianto.
Continuerò a cercarti
Aldo, amor mio,
finché le gambe
non mi diranno “addio“.
Seduta sul muretto sotto il pino, Rachele aprì la bottiglietta di vino rosso, ne versò in un bicchiere e me l’offrì.
“Beviamo alla salute di Aldo, mio figlio” mi disse”il mio amore perduto”.
La sua vita a quel punto uscì dalle sue labbra come un fiume in piena, gli amori passati, le delusioni, le passioni, le amarezze e le ricerche vane e misteriose di un mondo e di una vita tra miliardi di vite diverse e inafferrabili.
Quel vino inebriante aveva aperto le porte della più profonda delle confessioni, la porta dei segreti più reconditi e dei misteri che sino ad allora non avevano fatto capire lo spessore dell’anima e dei comportamenti.
I sentimenti, come gli oggetti, le appartenevano costantemente in ogni luogo, come se mai avesse potuto liberarsene, essendo parte vitale di se stessa e dell’ambiente, che ogni volta cambiava.
Suo figlio sparì improvvisamente quindici anni prima, di lui non si seppe mai nulla solo piccoli oggetti in quello zaino che la madre continuava a trascinare con sé eternamente.
Quella sera fu l’ultima volta che le parlai.
Due mesi più tardi seppi che era morta assiderata sotto la stazione della metropolitana.
Sul giornale un piccolo trafiletto:
“Rachele Welch è stata ritrovata stamane assiderata sotto la stazione metropolitana di Cordusio, trattasi di una donna sessant’enne d’origini slave, per accertarne l’esatta causa, l’autopsia sarà eseguita domani”.
Da quel giorno ho pensato a quante vite ci scorrono vicine, spesso più intense e problematiche della nostra e a quanto poco facciamo per non legare a noi i ricordi più tristi altrui, come oggetti da viaggio pronti all’uso.
Anche la vita è un viaggio e i sentimenti gli strumenti con cui sopravvivere alla fame e alla sete della dignità, sempre con noi e in noi, pronti all‘uso.
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