Lo zen e la cerimonia del tè

Creato il 15 maggio 2013 da Serenagobbo @SerenaGobbo

Bevendo circa un litro di tè verde al giorno, ogni tanto mi vien voglia di leggere un testo in merito, e sono arrivata a questo classico della Feltrinelli.
Ci si accorge subito che Okakura è arrabbiato. Ce l’ha con gli occidentali che non capiscono l’Oriente, e coi cinesi e coi giapponesi che rinunciano alle loro millenarie tradizioni per occidentalizzarsi. Dopotutto, questo libro è stato pubblicato per la prima volta nel 1906: l’apertura del Giappone al mondo occidentale scotta ancora. E Okakura è uno di quelli che ha studiato alla Tokyo Imperial University, che dell’occidentalizzazione ha fatto quasi un must. Fatalità, è proprio seguendo le lezioni di un occidentale, Fenollosa, che Okakura riscopre i valori antichi.

Non troverete accenni alle capacità salutari del tè in questo libro. Il tè è una scusa per metaforizzare la tradizione orientale. Si parla dell’arte di disporre i fiori, dell’influenza dello Zen, dell’arte, dell’architettura della stanza del tè, delle scuole… lo Zen, e dunque la cerimonia del tè, devono celebrare l’imperfezione.
Dunque, per trasposizione, l’asimmetria:

“Se c’è un fiore vero, non sono ammessi fiori dipinti. Se il bollitore è rotondo, il bricco dovrà esser spigoloso. Una tazza di smalto nero non dovrà essere accompagnata a una scatola per il tè in lacca nera. Quando disponiamo nel tokonoma un vaso o un bruciaprofumi, dobbiamo aver cura di non situarlo esattamente nel centro, perché non divida lo spazi in parti uguali. la colonna del tokonoma dovrebbe essere di un legno diverso da quello delle altre colonna, al fine di evitare ogni effetto di uniformità.”

Per la cronaca: sono due settimane che vado avanti a Hojicha, ma non vedo l’ora di finirlo. Il tè tostato non mi piace così tanto…



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