Lo Zoccolaro

Da Antonio

Questi bravi artigiani fabbricavano zoccoli di tutte le fogge e misure, lavorando per una clientela principalmente femminile, la nuda e robusta calzatura indispensabile alle contadine e alle lavoratrici. Lo zoccolo era molto comodo: d’estate manteneva il piede fresco e d’inverno lo difendeva dall’umidità. Eppure, fino ad una cinquantina di anni fa, queste modeste calzature erano talvolta considerate un lusso. Non tutti, infatti, si potevano permettere l’acquisto di un paio di zoccoli, per cui erano tanti che andavano scalzi anche d’inverno. Il che faceva scrivere ad un anonimo poeta:
“Sto paese è nu ciardino,
È na vera massaria,
Se ‘nce nasce, gioia mia,
A sti luoghe pe scialà.
È lo vero ca pe Londra
Nu scauzone non ce vide,
Ma si truove uno che ride
Io me voglio fa scannà.”

Lo zoccolo, fatto di stagionato legno di castagno, era anche un’arma impropria, si direbbe col linguaggio di oggi. Le donne lo usavano con una perizia senza eguale. Erano capaci di colpire un bersaglio, fisso o mobile che fosse, ad una distanza di quattro-cinque metri. Quando si azzuffavano e lo roteavano minacciosamente, era opportuno scansarsi: lo zoccolo rompeva a sangue.

Il ticchettio d’ ‘e zuoccole ha suggerito mille versi musicali all’ispirazione di Salvatore Di Giacomo. Ma già nel De Bourcard troviamo una canzonetta sul tema:
“Ah, chi vo lo zuccularo,
lo scarpino chi lo vo,
nocarrì vanno a lo paro,
ma chiù poco ‘nce li do
a chi bella vo paré
zuccularo zuoccolé”.



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