Lo zombi tra horror e fantascienza

Da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe n. 3

Il tema dello zombi interessa l’horror o la fantascienza?

La domanda può sembrare oziosa, in un momento, come l’attuale, in cui si parla di contaminazione dei generi. Eppure possiamo provare a formularla, se non altro per fare un po’ di chiarezza a favore di chi, come il  sottoscritto, crede ancora in una certa identità delle forme narrative.

Se noi ci affidiamo a un vecchio schema, possiamo credere che il morto vivente sia un personaggio tipico dell’horror. “A volte ritornano” scriveva Stephen King. Sì, abbiamo una gran quantità di invenzioni letterarie basate sull’idea che il defunto possa uscire dalla tomba, facendo apparire prima una mano, poi il resto d’un corpo in un più o meno avanzato stato di putrefazione, e quindi mettersi a camminare in cerca di qualcosa che gli dia pace. E questo qualcosa, di solito, è carne umana fresca e palpitante, sangue rosso e vivo. Lo zombi si è animato a causa di una magia, di una maledizione, di un rito satanico, ma anche per qualche fattore inspiegabile. In tal caso basta l’orrore in sé e per sé, senza fronzoli o inutili giustificazioni. Lo zombi più famoso è quello dei Carabi, legato ai riti voodoo. Il tizio, insomma, viene sottoposto a maleficio e messo in stato di morte apparente; poi, con il tempo, si rianima ed esce dall’avello tutto incazzato e assetato di vendetta.

Ma esiste anche un’altra teoria, legata all’idea raccapricciante e paurosa dei morti che camminano. È quella del virus. Qui non ci troviamo più propriamente nel campo dell’horror di natura soprannaturale. Max Brooks chiama questo microrganismo patogeno “solanum”. Il globo terracqueo lo ospiterebbe come tanti altri microbi, più o meno dannosi. Quindi si tratta di una malattia. Porta la vittima a morte sicura e poi agisce sul cadavere, rianimandolo e trasformandolo in un orrendo mostro, tanto ottuso quanto insidioso, e naturalmente con una fame arretrata di carne fresca. Come la maggior parte dei morbi si può diffondere. Di focolai sporadici, sostiene Brooks, si hanno notizie (tutte documentate, ma nessuna provata in modo inconfutabile) nel corso della storia. Potrebbe scatenarsi, da un momento all’altro, una vera epidemia… e forse una catastrofica pandemia. Altro che aviaria o mucca pazza! Questi sono i toni usati da Brooks, ma insieme a lui anche molti registi cinematografici, a partire dal buon vecchio Romero. Lo scrittore, con un’invenzione narrativa davvero geniale, parla degli zombi come di un pericolo biologico, reale e potenzialmente distruttivo della vita umana sul nostro pianeta. Ecco, secondo me, non fa altro che trasferire il mito degli zombi dall’ambito della credenza soprannaturale e orrorifica a quello dell’incubo fantascientifico.

Leggere per credere. Vi consiglio i due libri che sono i capolavori di questo eccentrico autore: “World War Z – La guerra mondiale degli zombi” e “Manuale per sopravvivere agli zombi”. Nel primo si racconta di come il modo sia miracolosamente sopravvissuto a una pandemia di solanum. In forma di narrativa non tradizionale, si fa il resoconto di quanto accaduto. Si intervistano i sopravvissuti, si analizzano le circostanze, si indagano le cause del disastro e si tirano le somme. Un intero mondo è andato in tilt, ma si è miracolosamente salvato. Ciò che si temeva è accaduto e ora l’umanità (quel che ne è rimasto) deve leccarsi le ferite. Ma se leggiamo bene questa vicenda, scopriamo che il fattore destabilizzante dell’umanità forse non sono gli zombi, ma l’umanità stessa con tutte le sue realizzazioni abnormi e tutto il suo apparato fragilissimo. Nel secondo libro, Max Brooks si cimenta addirittura con una serie di consigli e accorgimenti per far fronte al pericolo “reale” e incombente rappresentato dai morti viventi. Si tratta di un vero e proprio manuale di sopravvivenza, dove si suggeriscono i metodi più efficaci per difendersi, riammazzare i cadaveri ambulanti, organizzarsi in comunità alternative… insomma tutto ciò che serve per rimanere in vita nel caso si verificasse un’epidemia, o una pandemia di “solanum”. Queste due opere, secondo me, fanno uscire lo zombi dalla scena horror fatta di tombe e cimiteri, proiettandolo su un piano dove catastrofismo fantastico e scienza si uniscono sotto una spruzzatina di horror. E rimane intatta, anzi, viene esaltata più che mai l’idea che lo zombi abbia un significato metaforico: rappresenterebbe l’homo consumisticus, senza principi e senza cervello, capace solo di auto distruggersi fagocitando il mondo che lo ospita.

Giuseppe Novellino



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