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LocarnoFestival2014: i 4 film che ho visto oggi, sabato 9 agosto

Creato il 09 agosto 2014 da Luigilocatelli
'Perfidia' di Bonifacio Angius

‘Perfidia’ di Bonifacio Angius

Comme d’habitude, mi riferisco alle proiezioni stampa che precedono di un giorno buono quelle del programma ufficiale per il pubblico.
ore 9,00: Fidelio, l’Odyssée d’Alice, di Lucie Borleteau. Francia, 95 minuti. Concorso internazionale.
Ma come son bravi i francesi, che ti san confezionare anche le più trite e fruste storie con quell’aura nouvellevaguistica così fine. Qui sembra Rohmer, e invece siamo pericolosamente vicini a Love Boat. Una bella ragazza di nome Alice si imbarca come secondo meccanico su un cargo scalcinato con varia ciurma di nome Fidelio. Tra porti africani, mediterranei e baltici la vita sentimentale di Alice si complica. A terra ha lasciato un tenero ragazzo norvegese pazzo di lei, ma a bordo ritrova il suo ex, ora capitano della nave, e son torride sedute. Ma gli amori non finiranno mica qui. Ancora non ho deciso se questo film è un incanto o una sòla (tanto non posso scrivere la recensione fino a domani per via dell’embargo, e così ci penso su).
ore 14,00: Perfidia, di Bonifacio Angius, Italia, 103 minuti. Concorso internazionale.
L’unico film italiano in corsa per il Pardo d’oro è stato, almeno per me, una sorpresa. Una tosta, claustrofobica storia padre-figlio in una Sassari livida da stringere il cuore. Spacciato finora come un film sui ragazzi che non vogliono e non se ne possono andare di casa per via del lavoro che non c’è, insomma come un film sulla ‘generazione perduta’, è invece la radiografia di un caso clinico, quello di un giovane uomo catatonico e forse autistico incapace di avere una benché minima relazione con il reale. Parte come una commedia all’italiana, ma il rigore della regia già ci avverte che non è e non sarà così. Disturbante come un Lanthimos, come se il nuovo cinema greco avesse aperto una succursale in Sardegna. Secondo lungo del praticamente sconosciuto Bonifacio Angius.
ore 16,00: Un jeuen poète di Damien Manivel. Francia, 71 minuti. Cineasti del Presente.
Ah, i francesi (vedi sopra). Una giornata nella vita di un ragazzo che vuol fare il poeta. Il che, in tempi in cui i gggiovvani si danno tutt’al più al rap, mi sembra cosa perfino commovente. A chi gli chiede, vedendolo in giro per Sète, cosa stia facendo, lui risponde: “Mi ispiro”. Anche qui impossibile non pensare alla leggerezza e a certe svagatezze alla Rohmer. Diviso in capitoli. La location è una meraviglia, l’idea ottima, il protagonista (l’ho appena visto in giro qui a Locarno) c’ha una faccia genere Garrel, dunque giusta per la parte. Il problema sono le parole, spesso pessime e davvero cattiva poesia.
ore 21,00: Marie Heurtin di Jean-Pierre Améris. Francia, 95 minuti. Sezione Piaza Grande.
Da un caso famoso della Francia di fine Ottocento. Marie Heurtin è cieca e sorda dalla nascita, cresce com una selvaggia, finché un suorina avverte in lei la scintilla dell’umano e si mette in testa di ‘civilizzarla’. Ce la farà, riuscendo dopo fatiche inenarrabili a comunicare con lei e a insegnarle un linguaggio gestuale. Il resto è puro mélo. Cronaca di una terapia corporale e di una guarigione simile a quell’Anna dei miracoli di Arthur Penn che procurò in anni lontani un Oscar a Anne Bancroft. E simile alle storie di enfant sauvages di altri film (Truffaut, Herzog, ecc.), anche se qui siamo nel cinema più mainstream. Film medio che non risparmia nulla per coinvolgere e commuovere. Sarà un successo. Kleenex obbligatori.


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