Lolita – Primo impatto.

Creato il 30 settembre 2013 da Loredana Gasparri
Contrariamente a quanto fatto finora, scrivo un post su un libro che sto ancora leggendo. Non riesco ad aspettare la fine, perché mi si accavallano migliaia di impressioni e di reazioni, che devo metter su carta (o meglio, bit), per poterle razionalizzare. Ho voluto iniziare Lolita di Nabokov sulla spinta di un altro libro che ho letto da poco, La verità sul caso Harry Quebert. Sapevo che Lolita non è un romanzetto estivo, da ombrellone. Sapevo che il tema portante dello scritto pesca nella zona torbida dell’animo umano. Non sapevo, però, che mi avrebbe provocato così tanto. Le prime venti pagine del romanzo scorrono quasi in sogno: il protagonista, il futuro annoiato professor Humbert, racconta della sua adolescenza e del suo amore perduto. Da pag. 23, qualcosa cambia di colpo. Humbert si rivela. “Di quando in quando approfittavo delle conoscenze che avevo fatto tra i lavoratori sociali e gli psicoanalisti e in compagnia di queste persone visitavo vari istituti, come orfanotrofi e riformatori, dove mi era possibile guatare con cupidigia e con una impunità assoluta, simile a quella dei sogni, fanciulle adolescenti dalle ciglia appiccicate”. (Vladimir Nabokov, Lolita, pag. 23, Collana Medusa, Arnoldo Mondadori Editore) Cupidigia e impunità assoluta: un’accoppiata di parole che non ho gradito, ma che ho incassato senza troppi problemi. Le due pagine seguenti, tuttavia, sono un’esposizione incendiaria di cosa si agita davvero nell’animo di Humbert (lo stesso Nabokov?), raccontato sotto forma di “teoria”, con un linguaggio elegante, rotondo, sensuale, da incantatore di serpenti. “Vorrei, a questo punto, accennare a una mia constatazione. Tra i limiti d’età di nove e quattordici anni non mancano le vergini che a certi ammaliati viaggiatori, i quali hanno due volte o parecchie volte il loro numero di anni, rivelano la propria reale natura; una natura non già umana, ma di ninfa (vale a dire, demoniaca). Orbene, io mi propongo di chiamare “ninfette” queste creature eccezionali. [...] Ma tutte le ninfette sono comprese entro questi limiti d’età? No, certo. Se così fosse, noi che sappiamo, noi solitari vagabondi, noi ninfolettici, saremmo impazziti già da un pezzo. La bellezza non è affatto un valido criterio di scelta; e la volgarità, o almeno ciò che determinate persone così definiscono, non compromette necessariamente certe caratteristiche misteriose, la grazia torbida, il fascino elusivo, mutevole, struggitore e insidioso che distingue le ninfette dalle loro coetanee, incomparabilmente più legate al mondo spaziale dei fenomeni...[...] Nell’ambito degli stessi limiti d’età, il numero delle autentiche ninfette è inferiore in misura impressionante a quello delle ragazzette essenzialmente umane, siano esse momentaneamente bruttine, o soltanto graziose, o “simpatiche”, o anche “care” e “attraenti”...[...] L’uomo normale al quale si mostri un gruppo fotografico di collegiali o di giovani esploratrici e si chieda di  indicare la più avvenente, non sceglierà necessariamente la ninfetta. Bisogna essere artisti e pazzi, creature colme di infinita malinconia, con una polla di bruciante veleno nei lombi e una fiamma ipervoluttuosa accesa in permanenza nel midollo spinale (oh, quanto ci si deve frenare e come si deve fingere!) per distinguere subito, grazie a indizi ineffabili – il profilo lievemente felino di uno zigomo, la linea affusolata delle gambe ed altri segni che la disperazione, la vergogna, le lacrime di tenerezza mi impediscono di precisare – il piccolo demone micidiale tra le bambine integre; la ninfetta, non riconosciuta dalle altre, è ella stessa ignara del proprio fantastico potere.” (ibidem, pagg. 24-25)
Ho dovuto rileggere il pezzo un paio di volte. E ho affrontato Humbert. Tu, mostro. Tu, mostro ipocrita e con lingua di serpente. Non starai dicendo che sono le ragazzine, che tu chiami vischiosamente “ninfette”, le colpevoli evocatrici di TUOI sentimenti perversi, VERO? Sei TU che vedi torbido e ambiguo con quei tuoi occhi da fraintenditore, sei tu che ti scarichi di responsabilità affibbiando loro un termine così...strisciante, così apparentemente innocuo, ma sottilmente insultante. A chi dici demone, perverso oscurato?! Non si può dire che mi abbia lasciato indifferente. Per un paio di minuti, ho alzato gli occhi dal libro e ho cercato di capire se dovevo andare avanti o meno. Non è stata una lotta lunga; dovevo sapere, e l’irritazione ringhiante verso Humbert poteva ancora essere domata, o quantomeno zittita. Non mi piaceva affatto quello che stava dicendo, poiché grattava su una superficie ruvida mai del tutto dimenticata. Va bene, Humbert. Se voglio essere affrettata e rivestire il ruolo del giudice che sputa sentenze e trancia giudizi, ti considero un dannatissimo pedofilo corruttore, degno solo del ceppo del boia. Sì, ti ho già condannato, non- caro Humbert. Senza appello. Con la tua dolce lingua melliflua di serpente codardo, mi spieghi che sei “malato”. La tua fissazione per le ragazze giovani ha origini forse nella morte prematura del tuo primo amore adolescenziale, quando anche tu eri lontano dalla maggiore età. Ma chi non ha subito lutti, Humbert? E chi non ne è rimasto segnato, più o meno a fuoco? Non è una scusante che regge a lungo, questa. Può andar bene per un po’, ma poi...è necessario reagire. Finora, ti sei accontentato di “guardare”. Non hai voluto spingerti oltre con le ragazzine incontrate per strada, e con la stessa Dolly, che tu ti ostini a chiamare Lolita, la tua Lo (è la tua malattia che ti dà il permesso di appropriarti così di lei?), hai voluto essere più che corretto, anche quando il suo semplice contatto ti ha provocato un’esplosione finale, che hai voluto tenere per te. Ti ho quasi ammirato, pur contro la mia volontà, Humbert, in quell’occasione: ti sei esibito in una prodezza di contorcimenti, di disinvoltura davvero demoniaca. Ho deciso, comunque, che ti ascolterò fino alla fine. La tua lingua di serpente funziona, anche se a metà, dopotutto. Non proverò simpatia per te. Andrò oltre la mia sentenza senza appello su di te, ma non temere: è solo rinviata. Come il suddetto serpente riesce a fare così bene con le sue vittime, mi affascina il modo elevato in cui parli dei tuoi sentimenti e delle tue passioni irrefrenabili, ma non dimentico quello che sei: un predatore.

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :