Per farlo, cerca lavoro come guardia del corpo di una diva che a seguito di un'ascesa precoce e vertiginosa si ritrova, prima dei trent'anni, ad essere divorata da psicosi di vario genere ed ansia da incombenti paparazzi.
Inutile dire che il fascino da bel tenebroso di Mitchel risveglierà nella giovane Charlotte non soltanto i sentimenti schiacciati dall'isolamento, ma la spingerà a buttarsi di nuovo nella mischia, magari portando l'uomo con lei: peccato che, sulla strada per la loro nuova vita, i due debbano fare i conti con Gant, boss che vorrebbe a tutti i costi portare dalla sua Mitchel.
Esistono film capaci di rimanere sospesi, realizzati con professionalità e godibili eppure clamorosamente piatti e pervasi da quell'aura di "già visto" mai troppo utili se non si è in grado di coinvolgere adeguatamente lo spettatore.
London boulevard è uno di essi.
Se paragonato, infatti, a molte schifezze proposte in sala, la pellicola firmata da William Monahan - già sceneggiatore di The departed e Nessuna verità, tra gli altri - appare senza dubbio solida ed assolutamente onesta, di quelle da passarsi una serata con la sicurezza di aver assistito ad uno spettacolo ben realizzato eppure ugualmente associabile all'intrattenimento da distensione di cervello - specie nei periodi in cui lavoro e vita mettono lo zampino sulla soglia d'attenzione che è possibile sfoggiare al termine della giornata -.
Eppure, considerati il background dell'autore, la sceneggiatura e la serie di strizzate d'occhio portate all'indirizzo di pellicole dello stesso genere ma decisamente più potenti come The town o a registi esperti nella stessa materia ma assolutamente più ironici e divertenti - Guy Ritchie -, e non ultima la sensazione che la volontà dello stesso Monahan potesse essere quella di trasformare la storia di Mitchel e Charlotte in una sorta di nuovo cult londinese che potesse sostituire i passati Lock&Stock nel cuore degli appassionati, il risultato non può che perdere punti.
Come credo possa essere facilmente intuibile, dunque, Monahan non ha - e probabilmente non avrà mai -, dalla sua, il carisma o l'appeal di Ritchie, e benchè il cast risulti azzeccato - su tutti spicca un ottimo David Thewlis nell'incredibile ruolo di Jordan, unico personaggio ad avere tutte le potenzialità per figurare in un cult con tutti i crismi, seguito a ruota da Ben Chaplin - la storia naviga tranquillamente sui binari del già sentito senza deragliare ma senza neppure far gridare al miracolo.
Certo, il mestiere si vede ed il risultato minimo è comunque portato a casa, alcune idee risultano efficaci ed il ritmo non perde colpi neppure nei momenti della pellicola ritagliati per la storia che coinvolge i due protagonisti, preludio al crescendo del confronto tra Mitchel e Gant - il loro dialogo al ristorante vale tutta la pazienza portata nei momenti dedicati allo sbocciare dell'amore tra la Knightley e Farrell, che, almeno visti dall'altra parte dello schermo, paiono avere un'alchimia ed un affiatamento pari a quelli di uno sgabello ed una spugna di mare -, decisamente più movimentato e confacente al genere.
Ottimo, invece, il finale, che pur se anticipatissimo e chiaramente ispirato ad altri classici di caratura ben maggiore - Carlito's way su tutti -, dona uno spessore decisamente maggiore ai due amanti, che nella separazione definitiva trovano una dimensione decisamente più reale e clamorosamente più intensa.
In questo senso, aumenta il rimpianto rispetto alla scelta di Monahan di compiere il grande salto della regia senza lavorare con più intensità su questa sceneggiatura prima di consegnarla ad un cineasta più esperto che, forse, avrebbe potuto trasformare la storia di Mitchel in quella perla che lui stesso avrebbe voluto consegnare al pubblico.
MrFord
"I though it was all just a nightmare
I guess it was true
But now I'm left with a daily reminder of you."
Dropkick Murphys - "Rude awakenings" -