A distanza di tanto tempo, oltre che a congratularmi con me stesso per la costanza con la quale ho portato avanti questo piccolo spazio di riflessioni personali, debbo constatare che i fatti parigini, oltre che al non essere stati episodici, si sono consolidati, divenuti quasi "normali" e diffusisi in tutta Europa.
In quasi tutte le grandi città europee si sono infatti via via formati dei quartieri abitati in massima parte da immigrati da paesi non europei che, divenuti dei veri ghetto nel significato letterale del termine, sono spesso teatro di disordi violenti, qualche volta delle dimensioni di vere e proprie rivolte.
In questo momento è Londra alla ribalta della cronaca, anche se dalla capitale i disordini si sono rapidamente trasmessi ad altre città del regno di Elisabetta seconda.
Per la verità la Gran Bretagna non è nuova a disordini di questo tipo, specialmente in alcune città industriali come Birmingham e Newcastle, nelle quali ci furono anche scontri tra immigrati e popolazione locale, ma le dimensioni della rivolta londinese stanno dimostrando di come il fenomeno abbia ormai assunto dimensioni enormi e sia sempre meno controllabile dalle autorità di polizia.
Il numero di agenti impiegati per ripristinare l'ordine è infatti ingentissimo, eppure non sufficiente per raggiungere lo scopo.
Il ripetersi di questi eventi, un po' in tutta Europa, dovrebbe far sorgere qualche dubbio sulla efficacia delle politiche di integrazione dell'immigrazione extraeuropea e sulla validità dei progetti avanzati dai fautori della società multietnica e multiculturale ad ogni costo. Del resto sono già stati tanti i politici ad ammettere il fallimento di ogni tentativo di integrazione tentato in stati che pure venivano per questo portati a modello, come la Germania, l'Olanda e la Danimarca.
Eppure si può star sicuri che nemmeno al disastro conclamato gli assertori dell'accoglienza a tutti i costi riusciranno a fare autocritica e daranno piuttosto le responsabilità del fallimento alla inadeguatezza delle politiche messe in atto dai diversi paesi, mentre proprio il ripetersi delle stesse dinamiche violenti in paesi diversi e con diverse politiche per lintegrazione gli dovrebbe far capire che la causa di tutto sta nella presenza stessa di una troppo granse presenza di immigrati, che di fatto vanno a costituire un'enclave allogena all'interno di uno stato, pretendendo di non essere sottoposti alla legge dell'ospitante e di autogovernarsi.
Continueremo pertanto a sentire affermazioni come quella della commissaria europea all'immigrazione Cecilia Malmstrom che l'Europa ha bisogno di 30 milioni di immigrati per le sue esigenze di produzione.
La stessa dichiarazione fu rilasciata da Massimo D'Alema qualche giorno prima, quasi a dimostrare che ci sia da qualche parte un'agenda già ben pianificata, non si sa da chi e per quale ragione, per aprire le porte a milioni e milioni di immigrati dal terzo mondo.
Il buon senso comune farebbe dire a chiunque che un simile scenario porterà l'Europa al disastro nel giro di un paio di generazioni. Come può un Europa in chiara crisi economica e produttiva assicurare ad una così ingente massa si persone la possibilità di sostentarsi e di continuare a distribuire ai suoi cittadini i servizi pubblici ai quali sono abituati? Sembra chiaro a tutti che già oggi il welfare di stanti anche ricchi e all'avanguardia come quelli Scandinavi sia in crisi e necessiti di essere rivisto al ribasso.
Ma la risposta sarà invevitabilmente la stessa che ormai da decanni viene data ad ogni obiezione: gli immigrati sono una risorsa.
Per la verità l'affermazione non è campata in aria: gli immigrati per qualcuno sono certamente una risorsa, come dimostra quest'inchiesta di un quotidiano locale, che ormai i grandi media si dimenticano di farne preferendo ospitare solo le opinioni ben remunerate di questo o quel Solone.
La scoperta dell'industria dell'accoglienza per molti sarà come quella dell'acqua calda, perché basterebbe andare in la con la memoria a scandali simili, nei quali ai grandi principi umanitari si venivano a sovrapporre gli interessi economici di quanti operano nel settore dell'accoglienza solo per lucrare i finanziamenti pubblici, spesso ingenti.
Una parte di quella spesa pubblica che dovrebbe essere ricompresa negli sprechi da tagliare nel piano di rientro dal debito pubblico, anche perché sarà difficile da spiegare ai cittadini come sia possibile spendere così tanti soldi (un immigrato costa allo stato 40 euro al giorno, 1200 euro al mese, quando la maggior parte dei pensionati italiani sopravviva con un reddito di circa la metà), proprio mentre si vanno a chiedere nuovi e pesanti sacrifici ai cittadini.
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