Sono nata a pochi chilometri dal mare e a troppi dalla montagna. Qualcuno direbbe che sono una ragazza di collina, ma in fin dei conti sono solo una ragazza di terra e acqua di mare. La terra dove affondano le radici e le onde del mare dove si perdono i sogni. E in questo limbo di terra a un tiro di schioppo dal mare sono stata cresciuta a pane e classici per ragazzi, soprattutto quelli per “maschi”… Il giro del mondo in 80 giorni, L’isola del tesoro, Moby Dick… E in tutti c’è sempre il mare e quel sentimento di attrazione/repulsione verso l’abisso. Quel desiderio di navigare e quella paura di naufragare. Ed è questo sentimento che mi ha spinto in questa bigia domenica post apocalisse natalizia a vedere In the Heart of the Sea… Non solo la presenza di Chris “abellicapelli” Hemsworth…
E tutto quel desiderio, tutta quella paura, tutta quella angoscia claustrofobica erano tutte lì ad aspettarmi. Tutti quei ricordi d’infanzia di letture nel cuore della notte alla flebile luce di una lampada. L’adrenalina del mare d’estate quando fai il primo passo verso la zona dove non tocchi più. Erano tutte lì ad attendermi e a farmi sussultare, perché l’ossessione, il desiderio, la sfida personale, la paura sono più che tangibili in questi 120′ minuti di cinema… Sarà stato questo a spaventare lo spettatore medio e a far finire In the Heart of the Sea tra i flop del 2015? Sinceramente ho perso da anni la voglia, la curiosità antropologica del comprendere come funziona la mente dello spettatore medio soprattutto italiano… Ed è forse per questo che le mie recensioni ultimamente sono scritte di pancia con una leggera gomitata di testa, perché quella, da brava Vergine, non riesco mai a escluderla totalmente.
Ed è per questo che Moby Dick esercita un fascino indiscreto su di me. Il fascino del proibito, il fascino della magnifica ossessione. Il fascino di spingersi oltre i propri limiti e quelli imposti dalla società. Il fascino di perdersi e naufragare per poi tornare a casa. Il fascino di essere se stessi fino in fondo senza tradirsi, senza scendere a compromessi, senza mutare a comando. Cambiare sì, ma per propria scelta e solo per quella. E allora quella balena, quella dannata balena bianca diviene prima mito, poi nemico, poi semplicemente una balena. “E’ solo una balena” afferma Owen Chase nel suo ultimo incontro con la balena. Ed è in questa semplice affermazione che l’uomo viene a pace con l’ossessione e abbassa l’arpione, poiché il mito, l’ossessione, la nemesi ha compiuto la sua missione. E allora l’uomo può tornare a casa e raccontare la verità. Raccontare i peccati di cui si è macchiato per sopravvivere e cambiare. Cambiare, perché quello che torna non è lo stesso uomo che è partito. Cambiare, perché è giunto il momento. Avendo però sempre i capelli intrisi di salsedine e un piede nell’acqua ma con un nuovo scopo…
il prezzo è un po’ il mare
sembra che ti culli
ma poi ti vuole ingoiare . . .
(Afterhours, Oceano di Gomma)