Looper(Looper)Rian Johnson, 2012 (USA), 119’
uscita italiana: 31 gennaio 2013
voto su
C.C.
2044. Il futuro sembra tanto un polveroso e deprimente passato. In una cittadina americana i sicari della principale organizzazione criminale si chiamano Looper ed hanno il compito di uccidere degli sconosciuti incappucciati che gli vengono spediti da un futuro remoto, dove grazie ad un macchinario illegale i viaggi nel tempo sono diventati possibili. Si tratta di un impiego estremamente lucrativo e privo di pericoli (perché i Looper si sbarazzano di personaggi che non esistono nel loro tempo) ma funestato da una clausola infida: un giorno, il killer dovrà eliminare se stesso, trent’anni più vecchio, per far scomparire ogni scomodo testimone. L’ultimo “lavoro” chiude questo cerchio macchinoso (definito appunto
loop) ed è remunerato con una ricompensa significativa, tale da permettere di vivere le successive tre decadi agiatamente, con la consapevolezza di avere stampata sulla propria esistenza una indelebile data di scadenza. Quando Joe (
Joseph Gordon-Levitt), Looper come tanti altri, indugia prima di uccidere la futura versione di se stesso (
Bruce Willis), sembra commettere un errore imperdonabile. Lo smaliziato alter ego infatti riesce a fuggire, mettendo in discussione tutto l’oliato meccanismo. Ma possiamo giustificarlo: è in missione per salvare il
suo mondo.
Prima di poter apprezzare
Looper sono necessari alcuni minuti, durante i quali si è chiamati ad accettare il pasticcio ordito ai danni di Gordon-Levitt, reso irriconoscibile da naso e smorfie innaturali volte a farlo diventare sufficientemente simile ad un giovane Willis. Superata questa indubbia distrazione, è possibile lasciare che
Rian Johnson ci trasporti nella sua arida versione del futuro, così privo di speranza ed umanità da apparire spaventosamente realistico, sulle tracce dei due “Joe”. Il vero
turning point, almeno dal punto di vista visivo, arriva quando l’autore sceglie di lasciare l’ambientazione cittadina (e con questa le memorie di
Blade Runner e
Terminator) per farci conoscere la giovane Sara (
Emily Blunt) madre-single dal passato tormentato, che sopravvive tutta sola col suo precocissimo bambino (
Pierce Gagnon) in una casa immersa in un mare di spighe di grano, avendo come unica compagnia un fucile Remington caricato con pallottole di sale. C’è qualcosa di meraviglioso nella luce che brucia queste immagini, tale da premiare la scelta quasi reazionaria fatta da Johnson di girare il suo noir-fantascientifico sulla vecchia e romantica celluloide, invece che con una delle nuove e sempre più efficaci camere digitali. D’altronde, nonostante si parli di viaggi nel tempo e di telecinesi, gli effetti speciali occupano una parte marginale della narrazione, lasciando il palcoscenico all’ammirevole gusto col quale il regista mette in scena ogni situazione – c’è persino l’ammiccante close-up delle bollicine in una tazza di caffè, omaggio all’anarchico Godard.
Il principale merito di Johnson sta nell’aver costruito un continuum di grandiosa intensità, tale da non concedere mai allo spettatore il tempo di farsi troppe domande su ciò che ha appena visto; come afferma anche Willis in una scena piuttosto surreale del film, molto del fascino di
Looper è infatti perso se si tenta di ricostruirne i dettagli con ragionamento analitico o con qualche complesso diagramma. Questa scelta non priva la sceneggiatura di forza o unità, ma al contrario consente all’autore di ritagliare (tra le sequenze d’azione pura) sufficiente spazio per tratteggiare i lineamenti di personaggi per nulla banali.
La storia è profondamente influenzata dai concetti di ciclicità e destino, interpretati però secondo il dettame tipicamente americano per cui c’è sempre la possibilità per un uomo di determinare il proprio futuro e, in particolar modo nel cinema, di influenzare con un atto eroico quello dell’intera umanità. Così nel finale, dopo l’inevitabile resa dei conti (nella quale si potrà ammirare per l’ennesima volta lo sguardo “da vendetta” che Willis concesse per la prima volta armato di katana) Johnson mette a segno la sua ultima stoccata, legando con una riuscitissima dissolvenza passato, presente e futuro. In quei pochi istanti, e nel silenzio che segue, c’è tutta la magia del cinema.