Lorenza Fruci: donne, libri e parole

Creato il 23 luglio 2010 da Ilbicchierediverso

Lorenza Fruci, blogger, scrittrice, anima femminile e occhio che osserva. Quattro chiacchiere con l’autrice del saggio “Mala Femmena”.
Quante Lorenza si contano sulle dita di una mano?

Ci vogliono almeno 3 mani.


Femminilità e società. Cosa trovi di combaciante e cosa no?

Malgrado facciano quasi rima, di fatto non hanno elementi in comune. La società non è pensata per i tempi, la biologia e la testa delle donne. Si parla di pari opportunità, ma ancora c’è molta strada da fare. Le donne spesso si trovano costrette a dover annullare la loro femminilità per affermare la loro posizione, soprattutto nel mondo del lavoro. Oppure sono indotte ad essere solo “femminilità” come ha ben raccontato Lorella Zanardo nel suo documentario Il corpo delle donne. Ora la domanda è: questa denuncia è servita a qualcosa? Credo che l’evoluzione della donna nella società sia bloccata. Spesso per colpa anche delle donne che non hanno la forza di farsi accettare per quelle che sono nella loro completezza: femmine, intelligenti, capaci, autonome.


Qual è il Vizio di Lorenza?

Forse di essere viziata… mi voglio molto bene e quindi tendo a coccolarmi, a curarmi, a seguire i miei tempi e le mie esigenze assecondandomi e quindi viziandomi. Forse il mio Vizio numero uno è fare tutto quello che voglio.


Assorbire è un verbo che ti appartiene?

Abbastanza, ma più che altro il verbo che mi rappresenta è “essere empatica”. Tendo naturalmente a “sentire” le cose, le persone, le situazioni e quindi ad assorbire. Fortunatamente crescendo ho imparato a selezionare le cose da assimilare, altrimenti scoppierei.


Sei un'appassionata del mondo femminile, vuoi conoscere per capire o conoscere per parlarne?

Entrambe le cose che mi chiedi: conoscere per capirlo (prima di tutto me stessa) e poi per parlarne, auspicandomi di diventare spunto di riflessione per le altre e gli altri.


Il tuo libro "Mala femmena", come è nato? Da quale esigenza?

Da un’esigenza di scrittura e di approfondimento di un mondo, quello di Antonio de Curtis (e non di Totò) e quello delle malafemmene. Scrivere questo saggio dedicato alla canzone Mala femmina è stata un’occasione per dare voce alla mia espressività, raccontando la bellissima storia d’amore e di tormento, di passione e di gelosia, di patimento e di dolore che c’era dietro. Si tratta di una storia che può considerarsi universale perché tutti gli uomini e le donne che hanno amato e sofferto per amore possono sentirla propria. E poi c’è l’analisi (nella storia, nella musica e nel costume) della figura della malafemmena che può nascondersi in ogni donna. Il libro è nato da un incontro con Dario Salvatori che cura la serie Canzoni della collana Virgole, edita Donzelli, in cui ogni testo è dedicato ad una canzone.


Cos'hai scoperto di Antonio e cosa di Totò?

Sono rimasta colpita dalla sensibilità, la profondità e la fragilità di Antonio, dal suo animo di poeta e dal suo essere amatore delle piccole cose della vita, malgrado ostentasse ricchezza e nobiltà sulla quale lui stesso in privato faceva autoironia. (A proposito di questo, mi ha raccontato Eugenio Galdieri, figlio di Michele, che Totò una volta mostrò loro un piccolo bagno degli ospiti nella sua casa di Roma dove anche la tavoletta riportava lo stemma di famiglia. E lo fece schernendosi).

Di Totò invece ho scoperto che non era affatto improvvisato come si dice ma che, per arrivare a fare la marionetta, le sue famose smorfie o le roteazioni del corpo, si esercitava ore e ore tutti i giorni a casa. Questo per me è stato un insegnamento che mi ha ricordato che la “svolta” -concetto comune alla nostra generazione cresciuta con la tv- non esiste se non si studia, ci si sacrifica, ci si mette alla prova. Questo vale per i piccoli artisti, come per i grandi.


Cosa ti ha stupito della nascita delle canzone?

L’umiltà con la quale Antonio de Curtis viveva Mala femmena. La scrisse seguendo l’ispirazione di un’onda emotiva, ma non volle mai né cantarla né inciderla. Lasciò sempre a dei veri cantanti o interpreti la facoltà di farlo; era lui stesso a sceglierli e ad andarli a cercare (vedi Giacomo Rondinella che la incise sul primo 78 giri, Mario Abbate, Teddy Reno).

Un’altra cosa che mi ha stupito della canzone è la sua popolarità. Durante le mie ricerche non c’è stata persona con la quale parlassi che non la conoscesse ed ogni uomo in particolare aveva una storia personale da raccontarmi legata a questa canzone. È una canzone senza età, capace di evocare una sofferenza d’amore, anche quando non se ne capiscono le parole come all’estero dove è molto amata.


Il momento che più ti è rimasto impresso nella tua "indagine" su Malafemmena?

Una fase dell’evoluzione della storia stessa della canzone. Antonio de Curtis la scrisse nel 1951, anno in cui la presentò a Piedigrotta facendola interpretare a Mario Abbate. Poi nel 1956 per il film Totò, Peppino e la malafemmena Antonio scelse Teddy Reno. Qualche anno dopo la canzone ottenne il successo internazionale grazie ad una donna, Connie Francis. Erano gli anni ’60, Totò era morto e poco dopo arrivò il femminismo che accusò Mala femmena di essere una canzone maschilista, per cui molte artiste italiane si rifiutarono di cantarla e di ascoltarla. Solo con il tempo e l’immutabile successo della canzone, le artiste donne cambiarono idea e tornarono a cantarla. La sua evoluzione l’aveva portata a rappresentare universalmente la sofferenza per amore senza più distinzione di sesso. Quando le cantanti donne tornarono a interpretarla la resero il canto di un innamorato o innamorata sofferente.


Uomini. Per te cosa sono e quali sono quelli che stai tenendo vicini in questo momento?

Gli uomini sono degli esseri fragili (molto più delle donne) che ostentano sicurezza. Mi spiazzano tutte le volte che sembrano essere dei punti di riferimento e poi si scoprono alla ricerca di un punto di riferimento in una donna. Ora mi tengo vicina un paio di buoni e sinceri amici, un fratello, un papà e un compagno. Sono sufficienti perché è difficile prendersi cura di tanti uomini, sono troppo impegnativi.


Scrittori, poeti, giornalisti, fotografi... quali sono i creativi che ti affascinano? Oppure cerchi la semplicità della creatività, quella non legata ad un'esperienza professionale?

Sono affascinata dalla creatività in toto, mi soffermo ovunque trovi un germe di vitalità, un’emozione, una forza coraggiosa, un’espressione viscerale, ma soprattutto autenticità e contatto con se stessi. La forma d’espressione non è importante, ognuno sceglie (o trova) la sua, purché prima ci sia un’esperienza vera e sentita che ispiri l’espressione. Sono attratta dalla creatività indipendentemente dal fatto che si tramuti in professione.

Il tuo futuro da scrittrice cosa riserva?

Un saggio su un altro spaccato dell’universo femminile (quello delle artiste di burlesque), un altro sul fotografo Helmut Newton e poi molto probabilmente il mio primo romanzo… il mio percorso nella scrittura mi sta portando verso la narrativa.


In tre aggettivi: sei?

Confusione, ordine e passione.


Un blog, saggi, fotografia, mettendo tutto in uno shaker, agitando energicamente e versando, cosa pensi ne possa uscire fuori?

Una confusione ordinata al sapore della passione… forse il gusto di un gelato, qualcosa di saporito da leccare.

Finisci questa nostra chiacchierata come meglio credi...

A quando il tuo romanzo? Sono quelli sensibili come te che fanno parlare gli altri, che in genere hanno più cose da dire. Grazie di avermi fatta parlare…

Buona scelta

IBD


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