Molti ricordano che la notte del tredici dicembre del 1932 ignoti ladri rubarono in Camaiore, nell'Oratorio di San Michele, il celebre arazzo largo sei metri e alto quattro, uno dei bei saggi dell'arazzeria di fattura fiamminga dei primi anni del XVI secolo, rappresentante nel mezzo l'ultima Cena e ai lati la lavanda dei piedi e la cattura nell'Orto, le cui figure solenni e serene ricordano le tonalità e il segno di Giusto di Gand e del Van der Goes.
E ognuno ricorda il doloroso stupore dei fedeli camaioresi quando, all'alba piovorna del 14 dicembre, s'accorsero che il pregevole arazzo era stato rubato dalla grande sala che vide i fasti camaioresi, come nel 1491 quando, per la prima venuta di Galeazzo di Giano, fu tutta addobbata di arazzi.
Ma non tutti ricordano che i ladri poterono penetrare nella ben guardata sala (guardata massimamente nella parte prospiciente alla piazzetta da un portone ferrato di spranghe e di catenacci) facendo uncino di un chiodo battuto sulle sonanti incudini di Gombitelli (paese fondato da una colonia di zingari chiodari provenienti da Mondovì) che, congegnato sulla cima di un canapo marinaresco, fu gettato sul tetto dell'Oratorio dalla parte remota delle "Sepolte vive".
Su quel canapo disteso dalla terra al tetto ragnò un gigante, chiamato di soprannome Ezione, un demonio d'uomo alto più di due metri, che, arrotolato l'arazzo, se lo mise come Ercole alle spalle e sparì verso la marina. Ma, siccome anche i muri hanno orecchi per ascoltare e occhi per vedere, il dimane Ezione fu scoperto insieme col pregevole arazzo ch'egli aveva insellato tra le prunaie del Calambrone.
La negligenza dei custodi camaioresi fu punita con l'allontanamento dell'arazzo, il quale fino a qualche giorno fa è stato custodito nelle sale degli Uffizi di Firenze, e riparato dei guasti. Ma i camaioresi non potevano per un'audace impresa di ladroni ricusare alla legittima proprietà del celebre arazzo, e per dargli più degna e onorifica sede hanno trasformato le sale della Confraternita del SS. Sacramento in Museo d'arte sacra.
L'edificio della Confraternita del SS. Sacramento, interessante dal lato storico, è anche rimarchevole per le sobrie linee della sua architettura; armoniosi archi e pilastri di arenaria lo abbellano sullo sfondo vellutato delle gradevoli colline.
Nella sala centrale del nascente Museo d'arte sacra ritorna a un nuovo battesimo di luce una statua lignea della Madonna a grandezza naturale che, per la imperizia degli uomini e la semplicità dei custodi, era occultata da rozze vernici e da preziosi vestimenti e parati donati dalla sconsolata Maria Teresa duchessa di Lucca quando essa soggiornò alle Pianore, poco lungi da Camaiore. La statua, per la purezza delle linee, rintracciata con un sapiente e oculato restauro, è uno dei più bei lavori di quel genere d'intaglio.
È descrivibile la gioia con cui i camaioresi hanno accolto il ritorno dell'arazzo alla sua sede e la rivelazione della bellissima statua della Madonna portata qui dalla umiltà della Collegiata.
A grosso chiodo grosso martello: tra qualche settimana il pesante martello della Giustizia batterà sulla testa ferrata di Ezione e dei suoi complici ed egli sarà confitto per qualche tempo sul pancone di rude castagno a scontare il fio del sacrilego gesto.
"Chi ferra inchioda, e chi cammina inciampa" è una frase di gergo per significare che a trafficare coi chiodi rattorti talvolta ci si trova ad annaspare nella tela di canapa ergastolana. A pochi è nota la risposta che un alacre bifolco, il quale sudava nei campi, dette a una comitiva della specie di quelle di Ezione.
Disse la comitiva al bifolco, passando di sulla via rotabile:
- Chi lavora ha una camicia e chi non lavora ne ha due. Perchè dunque, o povero bifolco, ti strapazzi tanto?
Rispose il bifolco: - Ma io lavoro per voialtri!
- Come?
- Semino canapa!
Pare che Ezione, se le dicerie del popolo camaiorese che io ho ascoltato con grande interesse sono vere, s'intendesse anche di quei chiodi metaforici tanto temuti dai trattori, mercanti e negozianti.
[...]
Pare che un giorno Ezione, dopo aver diluviato in un'osteria periferica un'abbondante qualità di vino, chiamò il pacifico padrone grasso lardato, lo fece amichevolmente assidere alla mensa e poi, con tanta bonarietà nella voce e appioppandogli il tu fraterno, gli disse:
- Senti, amico, saresti disposto a morire di fame per me?
- Io morire di fame per te? - chiese il padrone stupefatto.
- Sì, per me! E che male c'è? - ribattè Ezione.
- Che male c'è? - echeggiò cupo il padrone. -Ma io per te non farei nemmeno un digiuno.
- Allora nemmeno io per te, caro Nini, - disse Ezione dandosi alla fuga.
Il padrone svergognato urlò al fuggiasco:
- Questa la pagherai cara.
L'ultima il ciclopico Ezione la fece in una di queste osterie disperse nel pian di Conca: entrò, ordinò, mangiò, bevve, ribevve, tribevve, poi affabilmente dimandò il conto; il padrone stava scrivendolo sulla lavagnetta portatile quando Ezione lo trasformò dicendogli:
- Padrone, prima di portare il conto venga a portar via di tavola tutti i coltelli: lo faccio per suo bene.
- Grazie tanto - disse il padrone guardando con gli occhi melensi di un vitello quelli volpini di Ezione: - Grazie del riguardo... ma queste cose non usano più nemmeno a Gombitelli.
- Ma forse alludi ai chiodi? Guarda che ieri ne ho fatto uno io in persona proprio a Gombitelli - disse serio Ezione.
- Ma sul marmo o sull'incudine?
- Ora sei troppo curioso; dopo tutti i riguardi che ti ho avuto fai anche delle malignità. Guarda che è meglio essere forati da un chiodo che da un coltello.
- Non lo so - disse il padrone guardando supplice il cielo.
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