Velieri all’uscita del canale – tratta da Nuova Viareggio Ieri -N.7-Giugno 1993
Tanti anni fa uno di questi sciabicotti era cieco, di corporatura salcigna, sodo e fulvo come un ancorotto roso dalla ruggine. Sagginato di pelame com’era, sulla carnagione cerea aveva quella specie di cruschello che sogliono avere gli uomini di quel pelo. Egli non vedeva affatto, ma gli occhi aveva intatti, bianchi smaltati e d’onice lucente, come sogliono vedersi sui freddi visi delle statue di Barberia. Il cieco fissava di continuo il mare e pareva lo scorgesse nella lontananza che aveva un tremito sui denti. Gli altri sciabicotti parlottavano tra loro fantasticando di pesche miracolose: il cieco taceva sempre e oltre non vedere pareva nemmeno non udire. Quando la barca era riportata all’ancoraggio nei cantacci della darsena vecchia, il cieco, come se vedesse, scendeva sicuro sulla calata e, senza la guida di nessuno, nè agevolato dal picchiettare di un bastone, si disperdeva nei labirinti portuari tra i baraccamenti dei guardiani. Un giorno il cieco si dev’essere sdegnato della ciurma degli sciabicotti ciarlieri, chè non lo si vide più prendere il suo solito posto nella vecchia imbarcazione.
Darsena Lucca (Vecchia) – tratta da Nuova Viareggio Ieri N.9-Novembre 1993
Dopo del tempo, lo si rivide sul pietrato del molo attaccato all’alzaia di un gozzo da nicchi, al cui timone era seduto un vecchio anchilosato. Il cieco aveva il cappio della fune avviticchiato al petto, e aggrevendosi sulla fune, con tutta la sua forza, il tagliamare del gozzo recideva le acque come un aratro la terra. I trabocchetti, degli scali, che sono sul pietrato del molo, entro cui il cieco avrebbe potuto macinare le sue ossa, non lo conturbavano, e nemmeno i lavatoi profondi; il cieco camminava sull’orlo di questi pericoli come un sonnambulo. Il cieco, invece che il pietrato, fissava il cielo. Quando il gozzo da ponente doveva passare a levante per imboccare il canaletto che conduceva alle darsene, egli s’aggranfiava alle sartie del gozzo come un uccello di rapina, saltava sulla murata, e con impeto e slancio spingeva il gozzo a levante. Quando udiva l’attrito del fasciame con la calata, il cieco, con un salto da felino, ritornava sul pietrato, si ricongegnava l’alzata e portava il naviglio all’ancoraggio dei cantacci.
Darsena Lucca (Vecchia) nel 2012
Nei giorni di tempesta il cieco andava nel bosco, e quando non udiva più il picchiottìo dei mazzuoli, segno che i cantieri erano lontani, si sedeva all’ombra di un intrico di lauri, di ginepri e di pinastri marini, per ascoltare in pace i possenti muggiti del mare. Quando passava il cieco di sull’intrico selvatico, i boscaioli trattenevano il respiro, egli nel labirinto boschereccio talvolta si fermava e alzava il capo al cielo, quasi a chiedere lassù, soltanto lassù, una direzione al suo viaggio. Nessuno poteva aiutarlo a districarsi dalla boscaglia nè a salvarsi dal precipizio degli scali, e dal terrore dei fondali paurosi. Egli era impassibile e freddo come una statua; ma v’era chi asseriva di averlo visto, talvolta, nel fondo della boscaglia piangere lacrime bollenti come lava.
Ponte Levatoio di legno – Foto tratta da A Viareggio sul treno dei ricordi – Pezzini Ed. 1992
Un albore di teschio trapelava dalle cartilagini del naso profilato e cereo: allora il respiro sobbolliva appena la bocca esangue, e i tremiti delle mandibole pareva tessessero il tedio e l’affanno che gli languivano nel cuore. Dopo quel pianto egli si alzava guardingo, ma non prudente, come uno spettro che avesse interna veggenza schivava i tronchi degli alberi centenari, i bugnoni delle spine che potevano recidergli la carne, i fossati, le lame e riappariva come trasumanato nelle darsene; si sedeva fuori al suo baraccamento e con più pacatezza riascoltava l’eterno battito del mare.
Una notte che il ponte levatoio era rimasto, per negligenza, aperto, il cieco dalla impalancita da cui ci si saliva, cadde nel canale; precipitando d’impeto coi piedi andò a toccare il fondo, e ritornò a galla col capo inverdito da limo: pratico com’era si aggranfiò ad un palone aspettando di orientarsi verso la calata. Il tonfo destò un guardiano che corse verso il luogo da cui era venuto il rumore e si gettò nell’acqua per dare soccorso, ma quando il cieco udì remigar di braccia verso di lui, urlò risoluto:
– Stai a te. Chi ti ha chiamato
– Ma voi non siete il cieco di…
Ma il salvatore non potè terminare la parola che il cieco l’interruppe:
– Se tu cascassi di tant’alto per quanto io vedo, ti fiaccheresti tutte l’ossa.
Ponte Girante sostituisce il vecchio ponte di legno nel 1914 – Foto tratta da A Viareggio sul treno dei ricordi – Pezzini Ed. 1992
Ponte Girante – Il ponte del 1914, distrutto nella seconda guerra mondiale, fu ricostruito com’è oggi – iFoto tratta da Nuova Viareggio Ieri – N.13- Febbraio 1995
Lo sciabicotto cieco nei giorni di Sacre che si celebravano sui monti vicini lo si scorgeva tra la folla dei pellegrini, spettrale quasi. Egli andava risoluto come vedesse, la sensibilità esasperata dal continuo fissare il breve ambito del teschio gli segnalava anche i crocchi delle persone che lo fissavano stupite; e gli occhi di lui impietrati s’aggrottavano sotto le ciglia nere. Quando egli aveva raggiunto i piazzali delle chiese, sui cui pietrati sogliono dolersi gl’infermi accattoni, rasente il parapetto andava sui porticati e pareva mirare il mare, lontano lontano. Una volta di lì udì un cieco randagio che dolendosi sermonava:
– O cristiani, persa la vista persa la vita!
Lo sciabicotto, a quel piatire, si pose in ascolto attentamente e, determinato che ebbe la direzione dell’infelice che così si duoleva gli si avvicinò, aspettò che di bel nuovo egli urlasse:
– Persa la vista persa la vita – e gli urlò: – Non è vero!
(Lorenzo Viani, “Lo sciabicotto cieco” da Il nano e la statua nera)
Ponte Girante nel 2012