Lorenzo Viani, Viareggio – La casa di Giovanni Pacini

Da Paolorossi

In questa casa di stile arciducale in cui s’abbattono le ombre delle vele, ormeggiate nella darsena che è dirimpetto, al mattino del 25 marzo 1825 si svolse il seguente dialogo tra il maestro Giovanni Pacini, giovane tutto fuoco, e suo padre Luigi, tenore e buffo celebre.
– Mi vuoi seguire a Napoli? – dice con tono risoluto il figlio.
– A che fare? – risponde stupito il padre.
– Vado a prender moglie.
– Moglie? Sei pazzo?
– No, parlo sul serio.

Viareggio – La casa di Giovanni Pacini costruita nel 1822 – foto tratta da A Viareggio con il treno dei ricordi -Pezzini Ed.

Partono; strada facendo il padre domanda al figlio qual’era la giovane che aveva prescelta per compagna della sua vita. Il figlio ride e risponde:
– La prima che incontro entrando in Napoli, e che mi piace, sarà mia moglie.
– Allora quando è così, – risponde con sopportazione il padre, – scrivo da Roma, dove faremo sosta, al mio amico Nicola Castelli, che ha una vezzosissima figlia, la quale gradirei assai che tu sposassi.

L’incontro avvenne ad Aversa. Giovanni Pacini, appena vide la vaghissima Adelaide, – così si chiamava l’angelica figlia, – s’accese per lei d’amore e in otto giorni fu celebrato il matrimonio.
– Questo si chiama, – dice musicalmente nelle sue memorie il maestro, – marciare a tamburo battente.

È possibile mai che il genio di Giovanni Pacini meditasse la Saffo, – come lo afferma una storica lapide murata sulla facciata della sua casa, – se non meditò nemmeno sul matrimonio? Vero è che il matrimonio è come la morte: pochi ci arrivano preparati o, se vogliamo essere meno funerei, «matrimoni e vescovati, son dal cielo destinati».

Si narra che Lord Buckingham, valente conoscitore di quadri, quando gli presentarono i Sette Sacramenti dipinti dal Pussino, trovasse da ridire al quadro che rappresentava il matrimonio:
– Si vede persin nella pittura quanto sia difficile fare un buon matrimonio.

Per Giovanni Pacini fu facilissimo: il genio è simile all’amore; è alato, ma cieco. Giovanni Pacini fece tre matrimoni.
«Tutti e tre i miei letti produssero, la triade armonica per cui, come ognun sa, 3 via 3 fa nove, e io ebbi per conseguenza, oltre il completamento dell’ottava, anche la nona: ond’è che potei formare, con preparazione e risoluzione, partendo dalla dominante, l’accordo di nona sulla tonica».
Che cosa vuol dire conoscere un poco le regole armoniche!

E in occasione del suo ultimo matrimonio rimpasticciò i noti versi:

Non è ver che sia la moglie
il peggior di tutti i mali;
è pazzia sol pei mortali
che son stanchi di goder

e li cantò in un convito d’amici.

Giovanni Pacini è stato anche prolifico di opere teatrali. Lo specchio della sua produzione dà la vertigine: dal 1813, in cui scrisse Annetta e Lucillo, rappresentata nell’autunno dell’anno medesimo al teatro Santa Radegonda in Milano, al giorno della sua morte, egli compose settantaquattro opere, dodici Messe, quattro inni, tredici cantate e poi sinfonie, duetti, terzetti e quartetti.

Saffo, la più celebre, è stata meditata in questa casa: sono viareggine quindi Saffo e Turandot.

La principessa torbida è nata tra i candelabri delle ginestre selvatiche nella pineta di ponente; Saffo qui tra lo scricchiolio, delle carene, lo strepito dei mazzuoli e il battito delle vele.

Saffo fu scritta con l’impeto della cascata: l’ultima scena, cioè coro funebre, recitativo, improvviso, tempo di mezzo e cabaletta, fu composta in due ore; tutta l’opera in ventotto giorni.

Durante questo furore creativo, il Maestro leggeva e rileggeva la storia e la poesia di quel popolo che fu la fiaccola di ogni umano sapere, Euripide, Sofocle, Eschilo, Omero, Tirteo, ma sopra tutto il Trattato musicale di Aristide. Facendo caso dei modi che i Greci usavano, – dorico, ionico, frigio, eolio, lidio, – e dei loro intermedi, – ipodòrico, iperdorico, – il Maestro si formò un coticetto del loro sistema: diatonico, cromatico, enarmonico, il primo nobile e austero, il secondo soavissimo e flebile, il terzo mansueto ed eccitante.

Il lavoro, cominciato con indicibile gioia, fu bruscamente interrotto, e Giovanni Pacini corse a Napoli con la ferma intenzione di far cambiare il libretto. Il poeta Cammarano era pronto a contentarlo, ma che almeno gli facesse udire i due pezzi già vestiti di melodia. Il Maestro si pose al pianoforte e gli cantò l’introduzione: «Di sua voce il suon giungea»; il poeta non lo lasciò finire, gli gettò le braccia al collo gridando: Maestro, Maestro, per carità, progredite: darete all’Italia un capolavoro.

Quando, per la prima rappresentazione di Saffo, il Maestro entrò nel teatro San Carlo, era tutto tremante e quasi fuori di sè. Il successo fu trionfale: quando i sacerdoti inveiscono contro Saffo, un sol grido s’intese in tutta quella innumerevole udienza.
«E io caddi sul palcoscenico svenuto».

Viareggio – 1929 – Passa il Giro d’Italia – sulla sinistra la Casa di Giovanni Pacini – Foto tratta da Nuova Viareggio Ieri – N.15-settembre 1995

Giovanni Pacini capitò a Viareggio per fatalità. Da Catania, sua città natale, nella primavera del 1822 si recò per diporto a Fiumicino, ove era all’ancoraggio di uso un piccola bastimento appartenente a S. M. Maria Luigia di Borbone, duchessa di Lucca. Il capitano offrì al Maestro di fare un viaggio:
«Accettai e sbarcai a Viareggio, ove, piacendomi infinitamente questa nascente città, fermai la mia dimora. Colà, feci costruire una piccola casetta».

Pochissimi sono i forastieri che sanno dove si trovi in Viareggio la casa del maestro Pacini. La pioggia e il salmastro han portato via il nero delle parole che il Municipio di Viareggio fece incidere sopra un lastrone di marmo:

«In questa casa il genio di Giovanni Pacini meditò la Saffo».

Tutti sono attratti, a ponente, dalla casa in cui fu composta Turandot. La gente staziona fuori ai cancelli; guarda le vetrate, il portico, una madonnina «marginale», di quelle che si veggono ai quadrivi a cui arde sempre un lumicino. Edere tenaci s’abbarbicano ai pini, vialetti intarsiati di mattoni rossi riducono tutti all’ingresso; una pioggia artificiale pioviggina, nei giorni di sole, sulle erbe e le intenerisce. Giacomo Puccini amava le giornate piovose; ma par di udire dall’interno il suo perpetuo ottimismo

«Se piove rido – E se non piove canto».

Intorno alla casa di Giovanni Pacini è un diffuso odore di tabacco e di pece. Le caldaie del catrame bollono sulla calata: i calafati, dopo aver ristoppato le carene, le impeciano: essi fumano nelle loro pipe di terra il «trinciato» forte. Le ombre delle vele variano sulle mura della casa; l’acqua sciaguatta tra la ripa e la nave ormeggiata.

Di su una prova un veglio,
tra ‘l guaire del cane,
che salta in tra ‘l cordame,
il tempo scruta e il mare
ed or, fumando, illude
il desio di salpare….

( Lorenzo Viani, La casa del cantore di «Saffo», tratto da “Il cipresso e la vite” )

Viareggio – Qui ‘era la casa di Giovanni Pacini … adesso c’è questo.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :