Golden State e San Antonio stanno scavando un solco talmente profondo che, ad oggi, sembra impossibile che possa essere colmato dalle altre big dell’Ovest, bloccate tutte, chi più chi meno, da risultati e prestazioni altalenanti. Tra queste nobili in difficoltà ricadono sicuramente i Los Angeles Clippers, dati tra i favoriti a inizio stagione ma afflitti da persistenti problematiche tecniche e psicologiche.
Eppure l’impegno profuso dalla dirigenza in estate, le falle coperte con le acquisizione di giocatori funzionali al progetto come Paul Pierce, Lance Stephenson e Josh Smith, la crescente affinità di uno scheletro ormai consolidato, facevano presagire la tanto invocata inversione di tendenza.
La cocente eliminazione contro i Rockets negli scorsi playoff è una ferita tutt’altro che rimarginata: nello spogliatoio serpeggia un persistente complesso di inferiorità che impedisce al gruppo di esprimersi secondo le sue indubbie potenzialità. L’attitudine a vincere è un sentimento che non si costruisce da un giorno all’altro e finché Doc Rivers non lo avrà insinuato tra i suoi ragazzi, l’Anello continuerà a rappresentare un sogno irraggiungibile per la metà sfortunata della Città degli Angeli.
Difesa, questa sconosciuta
Psicologia a parte, la reale incognita è rappresentata dalla fase difensiva, già deficitaria l’anno precedente, e peggiorata ulteriormente nella stagione in corso con una media di 103 punti concessi agli avversari a partita. A preoccupare maggiormente però è il fatto che le lacune difensive non sono scandite lungo tutto l’arco della match, ma cadono a pioggia in pochi decisivi minuti. L’harakiri che costò la qualificazione alla Finale di Conference lo scorso anno, si è ripetuto in maniera più visibile nelle due gare allo Staples Center contro Golden State e Toronto quest’anno. Nel primo caso, la squadra di Coach Rivers, dopo un primo tempo stratosferico concluso con 68 punti all’attivo, si fa sotterrare dalle triple di Curry e Thompson concedendo la bellezza di 70 punti agli avversari nel solo secondo periodo. Il match contro Toronto invece è l’esatto opposto: 63 punti concessi ai Canadesi che chiudono il primo periodo in vantaggio di 29 punti e partita virtualmente chiusa dopo solo 24 minuti di gioco. I due blackout rispondono ad una doppia-matrice: psicologica innanzitutto, perchè non si spiega un crollo così devastante; tattica, perchè la squadra viene risucchiata in una serie di miss-match difensivi sfavorevoli o in una totale assenza di pressione sul portatore della palla.
Mercato estivo errato?
Il primo a finire sul banco degli imputati non può essere nessun altro che il coach Doc Rivers: su di lui ricadono le paure, gli errori tattici sui due lati del campo, le scelte di alcuni giocatori che non stanno rendendo secondo le aspettative. Se la crisi dovesse perpetrarsi, Ballmer non esiterebbe un attimo a porlo sulla graticola, perchè il suo arrivo in California è stato legato fin dal primo momento a una futura vittoria del titolo.
Sulla penuria di risultati influiscono negativamente anche le scelte fatte dalla dirigenza in estate. Privarsi di un ottimo difensore come Matt Barnes, sostituendolo con giocatori bipolari come Lance Stephenson e Josh Smith non sembra essere stata una scelta saggia; se poi in rosa hai un altro parente dei due, tale Jamal Crawford, allora siamo ai limiti del masochismo. Diverse posizioni in campo, i tre sono accomunati dal grande potenziale offensivo ma anche dall’indolenza difensiva e tattica; averli in quintetto nello stesso momento può essere divertente ma anche del tutto deleterio. A dirla tutta, è stato pure offerto un triennale da 10,5 milioni a un ragazzino di 38 anni di nome Paul Pierce. Uomo dei tiri pesanti, scudiero di Rivers ai tempi dei Celtics, è importante per assicurare una mentalità vincente: nonostante il suo conto in banca non ne abbia risentito, la sua età lo ha però costretto a vedere il campo a sprazzi e di conseguenza ne ha limitato la sua pericolosità offensiva, al momento ai minimi storici.
Aspetti positivi
Ciò che funziona meglio? Ovviamente, manco a dirlo, il collaudatissimo pick and roll fra Chris Paul e i due lunghi della squadra, DeAndre Jordan e Blake Griffin. Guai a considerare i Clippers come la squadra di CP3, essendo, il play ex-Hornets, solo uno dei capisaldi del motore a tre cilindri guidato da Doc Rivers. L’hack-a-Jordan sta diventando progressivamente uno dei marchi di fabbrica della franchigia californiana, purtroppo, con gli avversari disposti a mandarlo in lunetta (tira con il 37%) ogni possesso possibile pur di togliere ritmo all’attacco losangelino; “The Giant” sta subendo psicologicamente questa tattica, ma oltre seppur con un bagaglio tecnico limitatissimo, resta una valida opzione in chiave offensiva, visto che raggiunge di consueto la doppia cifra (frutto di schiacciate o rimbalzi d’attacco), ma soprattutto è uno tra i migliori rim protector dell’intera Lega. Blake, invece, è ormai in grado di ricoprire senza patemi il ruolo di centro e di ala che apre il campo. Chi lo conosce solo per le sue schiacciate è lontano anni luce dalla realtà: Griffin ha aumentato a dismisura il suo range di tiro, è il miglior realizzatore nel suo ruolo (25 punti di media), va in doppia cifra con i rimbalzi e anche la casella assist si sta riempiendo sempre di più di numeri interessanti.
Aspetti Negativi
Detto della difesa, non è che l’attacco sia scintillante (seppur i punti segnati sono 103.8 a partita): se si escludono le giocate singole dei leader, i pick&roll di Paul e le triple di Redick, il resto dei giocatori stanno facendo grande fatica: Pierce come detto è nettamente sottotono (4.5 punti di media con 31.8% dal campo e 25.9% da tre), così come Crawford che sta tirando veramente male 35.6% dal campo, 25.7% da tre. Stephenson (in netto miglioramento rispetto allo scorso anno… anche se ci voleva poco), Austin Rivers, Smith e Mbah a Moute invece sono tutti giocatori che soffocano l’attacco dei Clippers non avendo una reale pericolosità da oltre l’arco, il che porta le difese a collassare dentro l’area difendendo il ferro e costringendo Paul e Griffin a tiri difficili e spesso contestati.
Nonostante le sopracitate problematiche, la squadra è apparsa in risalita nelle ultime uscite. Limitare gli alti e bassi e dare continuità ai risultati è l’imperativo per uscire dal pantano di metà classifica e guadagnare terreno sulle regine della Western Conference. Ovviamente il lungo periodo potrà chiarirci le idee sulle reali ambizioni dei losangelini, fatto salvo che questa potrebbe essere l’ultima spiaggia per un progetto ancora avaro di risultati.