Lost in translation

Creato il 30 giugno 2014 da Jeanjacques

L'errore più grande che si può fare nel giudicare un artista o una persona in generale, è quella di farsi bloccare dalle proprie impressioni. Certo, frase un po' pesantuccia, perché qui si rischia di essere parecchio contraddittori. Come si sa io non amo molto Lars Von Trier ma, prima che vengano fuori casini come è già successo, fatemi finire. Io di lui ho visto un solo film che mi è piaciuto - Dogville - e che ho amato, mentre tutti gli altri mi hanno fatto, scusate il francesismo, cagare. Ma dato che comunque è un regista dal respiro internazionale e che quella prima opera mi aveva davvero colpito, ho continuato a seguirlo nei suoi deliri, andando spesso incontro a delle inculate mostruose ma con la speranza che potesse di nuovo esaltarmi come al mio esordio visivo - e qui, prima che succedano dei casini, è meglio che mi fermi. La stessa cosa in minima parte va a ripetersi con Sofia Coppola, la bella figliola di Francis Ford Coppola, autrice che non amo particolarmente ma che dalla sua ha un bell'asso come questo film, una delle pellicole più delicate dei primi Anni Zero che, pur con tutto l'haterismo del mondo, non riesco proprio a bocciare.

Bob Harris, vecchio attore in declino, e Charlotte, giovane moglie di un giovane fotografo in ascesa che la trascura, si trovano nello stesso albergo di Tokyo. Lui perché deve girare lo spot per una prestigiosa marca di vini, lei perché accompagna il marito. Una notte però, mentre l'insonnia li costringe al bar dell'albergo, si incontrano e...Diciamolo pure, un film che inizia con un primo piano del culo di Scarlett Johansson - quinta foto della gallery - non può che essere un capolavoro a prescindere. Se poi su tal culo compare il titolo del film, allora saprai che questa è una pellicola che non riuscirai mai a dimenticare del tutto. E ancora, se poi nel film lei è una delle protagoniste principali, allora la gioia per gli occhi si fa totale, adombrando quello che è anche il talento del regista in questione. Il che è un peccato, poiché questo film basterebbe a far ricredere ogni hater della povera Sofia, la quale, strano a dirsi, ha saputo essere pure una grandissima regista. Perché nonostante Il giardino delle vergini suicide e Marie Antoinette mi fossero piaciuti, non posso dimenticare quell'immane rottura di zebedei che fu Somewhere o l'enorme delusione di un potenziale The bling ring. Devo ritornare con la memoria a questo bellissimo film per ricordare il momento in cui ho avuto piena fiducia in questa regista, il momento in cui mi son detto «bene, sembra che da questa, nonostante il cognome che si porta dietro, possiamo aspettarci davvero delle grandi cose». Perché Lost in tralsation è davvero un piccolo, grande film. Un film che ha saputo rappresentare una situazione emotiva che accompagna tutte le persone di questo mondo: la solitudine. Perché la perdizione del titolo non è altro che la solitudine che prova ogni persona in questi tempi dove tutto sembra andare di corsa, dove gli impegni si fanno incessanti e le necessità sempre più impellenti. Abbiamo due anime, Bob è Charlotte, che si sentono disperse in una città, Tokyo, che non è loro. Ma non è il mero ritrovarsi in terra straniera che li confonde, è tutto ciò che è successo prima e le vicende che si incatenano in quella metropoli dagli occhi a mandorla. Lui è un attore in declino, il mondo del cinema sembra averlo dimenticato e l'unica cosa che gli rimane da fare è la pubblicità di un vino... che per quanto sia pregiato e di classe, rimane sempre l'immortalare un volto in confronto in quella che può essere la prova attoriale della vita. Lei invece è una ragazza che non sa cosa fare della propria vita, vive alle spalle di un marito preso più dal proprio lavoro che da lei [testa di cazzo! Hai Scarlett Johansson nel tuo letto e la ignori così? Ma io ti ammazzo...!] e conduce quindi delle giornate senza senso in un posto dove, causa il problema della lingua, non può comunicare con nessuno. Ma Tokyo è solo il luogo che amplifica dei problemi già preesistenti, perché la vera incomprensione il più delle volte non sta con gli stranieri, ma con chi parla la propria lingua. E' questo il potente messaggio del film, artefice di una solitudine che coglie chiunque in qualsiasi luogo, perché comunicare al giorno d'oggi sembra davvero difficile. Così come sembra difficile aprirsi con le persone che si conoscono, ecco perché il fatto che tutto ciò avvenga fra due perfetti sconosciuti si fa altamente fattibile e credibile. La Coppola crea un mosaico di situazioni buffe ma sempre venate di una strana patina decadentista - storico l'incontro fra Bob e la prostituta giapponese che vuole che lui le strappi le calze - e confeziona tutto con quella sua regia forse statica ma qui davvero azzeccata, perché ti permette di cogliere i particolari di un mondo esotico ma attualissimo come il Giappone, concentrandosi poi sulle espressioni dei due protagonisti. Come al solito Bill Murray è clamoroso, un attore dedito alla commedia ma versatile sotto tutti i punti di vista, qui melancolico come non mai - solo la sua performance in Broken flowers è paragonabile a questa. Poi c'è l'adorabile Scarlett che fa quel che può, ma forse è meglio che si dia solo ai film degli Avengers.

Un film davvero bello e delicato, che andrebbe sicuramente visto più di una volta. Anche solo per dire: «Brava Sofia, ce l'hai fatta anche tu. Adesso però riprenditi...»Voto: ★★★★

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