posted by Ewan
Su Finzioni c’è un post, questo, che, a commento delle recenti nomination ai premi Nebula (assieme allo Hugo il premio più importante per la speculative fiction), affronta il tema dei romanzi di genere che, magari anche lodati dalla critica, per un motivo o per un altro, qui in Italia non sono mai arrivati. E, salvo opere di recupero in extremis – un po’ come sta avvenendo per George R.R. Martin ora che Game of Thrones ha ottenuto un successo planetario – non arriveranno mai.
L’articolo di Finzioni partiva dall’esempio di Among Others di Jo Walton, uno dei romanzi più acclamati dalla critica dai tempi di La città e la città di China Miéville, tanto da vincere Hugo, Nebula e British Fantasy Award. Eppure non sono bastate le sperticate lodi della critica o i premi letterari (ricordo che il Nebula è assegnato dall’associazione Science Fiction and Fantasy Writers of America mentre lo Hugo è assegnato dai partecipanti alla World Science Fiction Convention) per far vedere al romanzo della Walton la luce sul mercato italiano.
Ma per lo meno la sora Jo è in buona compagnia. Sì perché non occorre avere una conoscenza enciclopedica della materia per sapere che la stragrande maggioranza di quello che viene scritto all’estero in Italia non ci arriva neanche di striscio.
Quali sono, allora, alcuni di questi libri che, pur essendo assai stimati all’estero, qui da noi non esistono? E, soprattutto, non esistono per una questione di diritti? Per paura dell’editore di non riuscire a vedere nel mercato italiano? O per palese incompetenza?
Il primo dei dimenticati illustri che viene in mente è la saga della Black Company di Glen Cook, che narra le vicende di una compagnia di mercenari d’elite e si compone di una trilogia, una duologia, una quadrilogia e uno spin-off. È una serie di dieci romanzi, per di più impregnata delle atmosfere cupe del dark fantasy e che pone molta enfasi sugli aspetti militari, e quindi è forse questo il motivo per cui, nonostante all’estero sia famosissima, qua da noi non è mai arrivata. Di Cook in italiano mi risulta sia stato pubblicato solo un altro romanzo stand-alone, Le torri di tenebra (The Tower of Fear), dalla Sonzogno nel 1990.
Un’altra serie celeberrima nei paesi anglosassoni è quella a metà tra il fantasy, la fantascienza e la distopia, degli Acts of Caine di Matthew Stover, in particolare il primo romanzo del ciclo, Heroes Die. Heroes Die è famoso non solo per l’estrema violenza e la spietatezza della società multidimensionale in cui la storia è ambientata, ma anche per la figura di Caine, il protagonista, che è pian piano diventato un po’ l’archetipo dell’antieroe. In Italia Stover è arrivato solo con le novellizzazioni di Star Wars episodio III e God of War. Perché Heroes Die è brutto e cattivo, e qualcuno dovrà pur pensarci ai bambini, no?
Di Daniel Abraham, invece, l’Italia sembra essersi dimenticata. Ha fatto una breve comparsa nel 2009 per Fanucci con La città dei poeti, poi è sparito nel nulla. E sì che La città dei poeti è solo il primo libro di una quadrilogia, il Long Price Quartet cominciato nel 2006 e terminato nel 2009. Negli USA. Abraham è anche autore, assieme a Ty Franck e con lo pseudonimo collettivo di James S.A. Corey, della trilogia fantascientifica dell’Expanse, il cui primo romanzo, Leviathan Wakes, è stato finalista ai premi Hugo dello scorso anno (quelli vinti dalla già citata illustre sconosciuta Jo Walton).
Robert Jackson Bennett è anche lui un illustre signor nessuno. Più scrittore horror che di fantasy, ha esordito con il romanzo Mr. Shivers, una storia di vendetta ambientata durante la Depressione. Il suo secondo romanzo, The Company Man, tratta dei panni sporchi di una grande corporazione in un universo alternativo. Il romanzo più recente di Bennett, The Troupe, è la storia di un ragazzo sedicenne che, in cerca del padre, si unisce a una compagnia di vaudeville abbastanza particolare. Infine, tra qualche mese, uscirà il quarto romanzo di Bennett, American Elsewhere, storia di una ex poliziotta che eredita la casa della madre e, volente o nolente, si trova ad avere a che fare con i suoi nuovi compaesani – che potrebbero non essere del tutto umani. Ci scommetto i calzini che nemmeno American Elsewhere uscirà in Italia. Dopotutto perché perdere tempo a tradurre un giovane autore che è stato più volte paragonato a Stephen King quando si possono continuare a vedere imperterriti, come da trent’anni a questa parte, i libri di Stephen King?
Un pezzo da novanta della nuova generazione di scrittori fantasy (non i bimbiminkia del baby boom 2005-2010, sto parlando di veri scrittori) che, a differenza di Rothfuss, Abercrombie, Lynch e compagnia bella, da noi è totalmente ignoto, è R. Scott Bakker. Bakker è uno scrittore un po’ complicato, da un punto di vista meramente editoriale, nel senso che è impegnato da almeno dieci anni a scrivere il suo magnum opus, che poi è anche la sua serie d’esordio. In origine la serie The Second Apocalypse doveva essere una classica trilogia. Ma poi, ancora prima di pubblicare il primo romanzo, Bakker ha deciso di dividere ulteriormente ogni volume in tre (un po’ come sta succedendo a GRRM in Italia, solo che qui è per volontà dell’autore). Così The Second Apocalypse è divisa in tre trilogie, The Prince of Nothing, The Aspect-Emperor e una terza a cui Baker si riferisce come The Book That Shall Not Be Named perché, dice, il titolo contiene spoiler delle trilogie precedenti (per gli amici, però, esiste il titolo informale di The Disciple Mannings Novels). Posso capire perché un autore così incasinato con la sua stessa opera sia magari ignorato dagli editori quando si tratta di esportare qualcosa. Insomma, una casa editrice dopotutto è un’impresa, deve rendere un profitto, non ci si può buttare così alla cieca, no? Ed è un peccato, però, perché da quanto si legge in giro i romanzi di Bakker sono un ottimo esempio di fantasy maturo e cerebrale, che tratta molto anche di filosofia e teologia.
Beh, certo che questo Bakker ha sacco di roba senza che questa vedesse mai la luce da noi, eh? E sapete chi altro ha scritto un fottio di romanzi senza che gli editori italiani se lo filassero manco per sbaglio? Jim Butcher, che dal 2000 a oggi ha sfornato i quattordici libri che compongono la serie urban fantasy Dresden Files, apprezzatissima un po’ ovunque. Beh, tranne da noi, apparentemente.
A voler essere onesti, di Butcher è stato pubblicato in italiano da Rizzoli Le furie di Calderon, primo volume della serie Codex Alera. Nel 2010. E è poi sparito nel nulla. Probabilmente perché la Rizzoli doveva puntare sul talento di Alessandra Fiorentino (Sitael più sequel vari, peraltro nemmeno un romanzo originale, visto che era già stato pubblicato da non mi ricordo quale minuscolo editore) e Giovanni Pagogna (Il trono delle ombre). Mica cotica.
Cherie Priest è famosa per la serie steampunk/zombie/alternative history Clockwork Century, cominciata nel 2009 con Boneshaker (premio Locus, nominato a Hugo e Nebula). Ma non in Italia. Oh, no. Da noi è stato tradotto dalla Tre60 solo uno dei suoi romanzi, Ladra di sangue. Indovinate un po’, è un romanzo che parla di vampiri.
E alla Priest è andata anche bene. Paolo Bacigalupi non ha mai scritto libri di vampiri innamorati o meno, per cui è giusto che in Italia nessuno sappia chi è. Poco importa che il suo debutto letterario, The Windup Girl, un romanzo ambientato in una Thailandia post-tracrollo economico che racconta le avventure di una ragazza-schiava geneticamente modificata, abbia vinto Locus, Hugo e Nebula e sia stato inserito dal Time tra i migliori romanzi (non romanzi-di-genere, romanzi e basta) del 2009. C’erano vampiri? No. E allora che pretese avete?
Potrei andare avanti per ore, visto che quelli che ho elencato sono solo pochi esempi. Ma servirebbe a qualcosa fare il listone dei libri meritevoli che l’editoria italiana per un motivo o per l’altro si rifiuta di importare? Non è nemmeno il caso di domandarsi perché si investano soldi per tradurre e importare ciofeche immeritevoli quali Warm Bodies o i vari cloni di Twilight/50 sfumature, in realtà, perché la risposta è palese e sotto gli occhi di tutti.