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LOST IN TRANSLATION: Intervista a Jean Becker, regsta di La tête en friche

Creato il 01 ottobre 2010 da Nouvellepunk

Come scoprì il romanzo di Marie-Sabine Roger e perché le venne voglia di adattarlo per il grande schermo?
Qualcuno di mia conoscenze si dedica a cercare soggetti e mi fece scoprire il romanzo di Marie-Sabine Roger. Mica poco leggerla, mi affascinò. Immediatamente mi ha attratto il personaggio di questo buon uomo poco fine, che soffre per la sua mancanza di cultura e che può essere definito come un semplicione, anche se non lo è per niente. Grazie all’incontro fortuito con un’anziana molto erudita che gli rivelerà la ricchezza della lettura, si evolve.

Perché ha proposto a Jean-Loup Dabadie di adattare il romanzo insieme a lei?
Era da molto tempo che avevamo voglia di lavorare insieme. Gli dissi di leggere il romanzo e gli piacque molto. Era l’occasione perfetta.

http://www.cinemactu.com/Cinema/La-tete-en-friche/La-tete-en-friche.jpg
Le piace il processo della scrittura?
Per me, i migliori momenti del processo di realizzazione sono la scrittura e il montaggio. Girare è una fase angosciosa perché ho sempre l’impressione di essere sottomesso ad una sceneggiatura e mi obbligo ad essere il più rigoroso possibile per non allontanarmi dalla pagina scritta.

Le è successo sempre questo durante le riprese?
È piacevole vedersi ogni giorno per sei settimane di seguito con i membri della banda. Però devo essere sincero, può essere anche molto noioso dover rispondere sempre alla stessa domanda: “Che facciamo?”. Penso sempre a quello che rispondeva Sébastian Japrisot: “Non lo so, però facciamo in modo che venga bene”. (ride) Riconosco che sono un uomo difficile durante le riprese. Grido molto, ma solo perché ogni errore mi allontana dall’obiettivo: essere fedele a ciò che sta scritto. Per me, ogni dettagli è essenziale. Basta un piccolo errore per mettere in pericolo una ripresa. Per questo preparo ogni scena con largo anticipo, in tal modo si evitano gli errori.

Le è facile trovare attori che corrispondono alla sua idea del personaggio?
Mi fido molto della selezione della direttrice del casting.

In che modo dirige gli attori?

Non si dirige un attore. Non mi piace questa espressione. Li lascio a briglie sciolte. Qualche volta parliamo su qualche piccolo fraintendimento.

Si esce dalla visione de “La tête en friche” totalmente commossi, senza la sensazione di aver ceduto ad un ricatto lacrimogeno. Ce metodo utilizza per ottenere questo risultato?
Non cerco di raggiungere le lacrime del pubblico, anche se alcuni affermano il contrario, e nemmeno credo di aver tirato la corda della sensibilità. Semplicemente voglio raccontare nel migliore dei modi possibili ciò che mi commuove e trasportare queste emozioni sullo schermo.
Crede che con ogni film apprende il modo di raccontare meglio le storie che le commuovono?
Certo che miglioro (ride). No, è uno scherzo. Però è vero che apprendo qualcosa dopo ogni film e mi sforzo sempre di non ripetere i miei errori. A volte, l’esperienza è utile…
Ha cambiato molte cose durante il montaggio?
Ho provato a sopprimere i momenti in cui lo spettatore avrebbe potuto anticipare le scene seguenti. Non dubito mai quando è il momento di raccontare. È più difficile nei primi film che uno realizza perché vuole le immagini. Però un realizzatore non deve innamorarsi delle sue immagini. Ho capito come farlo e a concentrarmi nel ritmo.

Perché chiese a Laurent Voulzy di comporre la musica per il film?
Molto semplice e la risposta non è per nulla originale. Mi piacciono le sue canzoni e le sue melodie. All’inizio non accettò perché credeva di non avere tempo. Ma quando gli mostrai il film, disse di si. Dopo, tutto andò molto in fretta. In un mese ci inviò un tema che ci piacque molto.
Le angoscia l’uscita di un suo film?
Si dice solitamente che una volta finito il montaggio, il film già non appartiene più al regista. Per quanto mi riguarda, non è vero. Se impiego tre anni per fare un film, non voglio che un dettaglio da niente rovini tutti i nostri sforzi al rettilineo finale, durante la promozione del film. Dopo, quando si mostra il film al pubblico può funzionare bene, mediamente o male. In ogni caso, resta solo da rimboccarsi le maniche e pensare a cosa fare dopo.

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