Domani, domenica, ricorre la ventesima giornata mondiale di lotta alla desertificazione.
Argomento, è proprio il caso di dire, piuttosto scottante perché nell’avanzare del deserto, anche a casa nostra, in Italia intendo (il 30% di suolo è desertificato a quanto, ad oggi, riferiscono gli esperti), grossissime responsabilità ce l’ha l’uomo.
E precisamente l’homo civilis, quell’accaparratore per definizione, con l’uso sconsiderato che ha fatto e che continua a fare del territorio, mostrandosi incurante delle nefaste conseguenze ,che sono già poi , a saper ben osservare, dietro l’angolo.
Uscendo dal nostro orto concluso inoltre, e correggendo un po’ la miopia, che ci attanaglia, la situazione oggettiva e le responsabilità umane, a livello planetario, sono ancora più pesanti.
Sempre se siamo capaci di prestare attenzione.
Il Pianeta ,insomma,senza troppi giri di parole, è messo male.
Ora in attesa della Conferenza di Rio de Janeiro,il nuovo maxi- appuntamento Onu sullo sviluppo sostenibile, si ricominciano a concepire nuove modeste speranze anche se venate di un certo scetticismo,conoscendo nel tempo, delusione dopo delusione, la realtà e il “dopo” di certi summit.
Tanti paroloni e niente fatti( è così quasi sempre) quando si passa dalle belle intenzioni di queste adunate oceaniche alle applicazioni sul campo.
E c’è ogni volta la pezza giustificativa idonea. Mentre la Terra agonizza.
E’ noto, e in questi giorni lo sentiremo ripetere più volte e da più parti, che se le cose continuano come stanno andando adesso, e cioè con una perdita di 75 miliardi di tonnellate di terreni fertili all’anno, entro il 2050 non sarà possibile nutrire i 9 miliardi di uomini,donne, anziani e bambini.
Quelli cioè che saremo nella nostra grande “casa” comune..
Attualmente le terre aride ,e quindi improduttive, sono il 40% della superficie terrestre e, purtroppo,secondo i dati disponibili, sono quelle abitate dalle popolazioni più povere.
Per quanto riguarda l’acqua, bene prezioso e che dovrebbe appartenere gratuitamente a tutti, il 70% di quella dolce è già utilizzata.
Pertanto secondo attendibili previsioni, in rapporto alla crescita numerica,entro il 2030 ci sarà una richiesta d’acqua di almeno il 35% in più.
In breve è necessario, allora, un impegno maggiormente mirato alla vita, e alla vita di tutti,da parte di tutti, che poi significa studio serio e a tavolino, per progettare modalità di vita compatibili con quanto in concreto è realmente possibile fare sul campo, nel territorio in questione, per evitare disastri apocalittici e carestie bibliche.
Piccolo è bello, ad esempio. E non è niente male.
Una maggiore attenzione, dunque, alle comunità di “piccoli” contadini, che sono in grado,se supportati da una tecnologia amica e non nemica dell’uomo, di dare adeguate risposte in termini di prodotti agricoli, debellando, specie in certe zone di povertà endemica, fame,denutrizione, malattie e morte.
Discorso analogo è quello dell’acqua,sulla quale da noi, nel mondo “progredito”, grava l’ipoteca della privatizzazione, che solo i movimenti della società civile riescono in parte e debolmente ad arginare, lottando con unghie e con denti con il grande “capitale”.
E comunque per l’acqua, in certe realtà, si muore. E non solo di sete.
Guardate all’Africa(contrasti tra allevatori e agricoltori) e soprattutto all’America latina(fazenderos contro piccoli coloni).
Concludendo, ingegniamoci tutti, nord e sud del mondo,insieme, a difendere la vita.
E’ obbligo e dovere nei confronti dei nostri nipoti e pronipoti.
Giornate celebrative e grandi summit hanno senso soltanto se, subito dopo, c’è la volontà sul serio di fare qualcosa per “voltare pagina”.
Diversamente sarebbe meglio praticare un silenzio "risparmioso" piuttosto che piangere sul latte, una volta, versato.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)