Louis-Ferdinand Céline - Morte a credito

Da Mauro54

 Morte a credito (1936), pubblicato in Italia solo nel 1964 con la traduzione di Giorgio Caproni, è il secondo romanzo di Louis-Ferdinand Céline e segue di quattro anni il capolavoro Voyage au bout de la nuit.
Si tratta di un’opera in cui è presente una evidente dissoluzione strutturale, cioè un’operazione che non tiene alcun conto di una studiata architettura narrativa e delle sue “regole”, in quanto intende sovvertirla con un linguaggio sincopato e basso, magmatico, senza inizio e senza fine, continuamente esposto, privo di difesa, di orpelli letterari.E questo avviene perché Céline non vuole rappresentare alcunché, non vuole creare o confezionare una storia (“Non voglio narrare, voglio far sentire”, ebbe modo di dichiarare), ma dire la vita, la sua incomprensibilità, la sua violenza. Non può esserci, dunque, struttura nella sua narrazione, perché la vita ne è priva, non ha logica, anzi ci investe e ci travolge in questo mondo in cui ci troviamo nostro malgrado gettati.
L’incipit del romanzo non è davvero tale (“Eccoci qui, ancora soli. C’è un’inerzia, in tutto questo, una pesantezza, una tristezza…”), non prelude ad uno sviluppo compiuto, così come la conclusione non sancisce la fine del racconto. Dopo la prime pagine al tempo presente, infatti, segue un flash back inarrestabile, che arriva fino all’ultima pagina, senza un ricongiungimento col punto di partenza.
In questo senso Morte a credito è ancora più estremo del Voyage. La parola è accidentata come la vita, è disgraziata, è scossa e travolta da ciò che incarna, è in balìa dei corpi, degli umori, delle passioni, delle disperazioni, degli “sgobbi” di un’umanità che barcolla, che si dimena forsennata per sopravvivere in un mondo ostile e crudele, prossimo alla catastrofe.
Ciò che viene narrato può essere considerato il prologo del Voyage. Il protagonista, Ferdinand, è un adolescente che sembra non avere scampo, prigioniero non solo di se stesso e dei propri impulsi, ma anche di una famiglia alle prese con la povertà, con la lotta senza tregua per il proprio sostentamento. Egli è- come ha scritto Sebastiano Vassalli – “un errante, un esploratore del male e dell’infamia del mondo”, costretto a subire un padre isterico e violento, una madre chiusa e sottomessa, votata al sacrificio, e tutta una serie di personaggi inaffidabili, gretti, egoisti, oppure persi nei loro sogni deliranti, vittime e carnefici al tempo stesso. Un’umanità che Céline svela nelle proprie miserie, nella devastazione della propria carne, nel dolore senza riscatto, in quella pantomima tragica, assurda e grottesca che è l’esistenza di tutti, da sempre destinata ad una morte a credito.
I punti più alti della scrittura di Céline si hanno nelle descrizioni di delirio collettivo, nelle pagine dove prorompe la follia umana, scatenata dalla disperazione, dalla paura o dall’odio, e dove le parole incarnano un movimento ossessivo, che sembra non finire mai nella sua ripetuta frantumazione, nella sua gergalità che a volte diviene teatro, puro suono, singhiozzo, ritmo strozzato e continuo. La realtà si deforma, si condensa o si dilata, gli intestini si appropriano delle parole, le parole si aggregano e si dissociano continuamente, diventano grumi, cellule, che si dibattono dentro il disastro della realtà e della Storia. Una Storia povera, in fondo, mossa da interessi meschini, da perfide speculazioni, da menzogne e vergogne, che proliferano infette generando un'umanità senza scampo.Esemplari anche certe improvvise descrizioni di ambienti, di città o di campagna, di fermento o di solitudine, nelle quali sembra pulsare un organismo nascosto, un corpo minato che respira, che c’è, come un doppio di quel destino che tutto comprende e travolge. Ma sempre incombe lo spettro della miseria materiale, che come una malattia mortale intacca ogni situazione, corrode i sentimenti, divora ogni morale: è l’altra faccia di un Progresso anonimo che esclude, che si afferma ignorando la tragedia collettiva di chi si dibatte nella disperata fatica quotidiana.
Autore unico e “maledetto”, Céline ci parla con la sua lingua spezzata e fluviale, come in un monologo interminabile ed esasperato, furioso e paradossale, che ci travolge dentro la notte del mondo e dell’esistenza.
Mauro Germani

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