Discorso, tuttavia, che di fronte alla figura controversa, intricata, eppure magnifica e straripante di Wilson, perde qualunque tipo di rilevanza, scendendo in secondo piano e lasciando il posto alle performance di un fenomeno musicale a cui bastava isolarsi temporaneamente dal mondo ordinario per tirar fuori dalla testa una melodia rivoluzionaria, da andare a spiegare, in seconda battuta, a musicisti esperti che, puntualmente, rimanevano esterrefatti dal risultato finale e da quello che, per forza, doveva essere considerato un estro straordinario e fuori dal comune. Stessi aggettivi che potremmo utilizzare, nostro malgrado, per andare a descrivere quella che poi è stata la vita che lo ha investito, una vita che nonostante le droghe e le sregolatezze, non è affatto paragonabile a quella che spesso tocca alle rock-star di successo, poiché, in questo frangente, le fragilità, la paranoia e le facili incomprensioni, nascono da un passato più che remoto, da associare a una famiglia, o più precisamente ad un padre, dal carattere autoritario, violento e severo. Fu lui a stimolare, a schiaffi in faccia, il figlio, a fare in modo che i Beach Boys - all'interno dei quali erano presenti anche i fratelli e il cugino di Wilson - prendessero forma, ad esser decisivo, forse, nell'affinamento delle sue capacità, a trasmettere la sacralità delle radici e a vincolare, di fatto, artisticamente, e nel momento più sperimentale della sua carriera, l'anarchia di Brian, sempre più orientata a spingersi oltre, verso canali poco comprensibili ai comuni mortali (altri membri della band compresi).
Quella tradizionalità denunciata prima, perciò, percepita un po' come requisito penalizzante nell'economia di una biografia per la quale si pretendeva, giustamente, il massimo, diventa quindi la strada più corta per rendere fruibile, nel senso più assoluto del termine, il tributo ad un artista fondamentale, capito e apprezzato per nostra colpa largamente fuori tempo, e di cui, esistenza a parte, sarebbe essenziale recuperare le opere.
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