Lo zio Pietro mi ha avvertito stamattina via mail.
In questo modo mi ha reso meno terribile la notizia, che avrei scoperto leggendo l'ultimo post del blog su cui Vincent, personalmente o tramite sua moglie Jennifer, informava le persone care di quello che stava accadendo.
Vincent era nato nel mio paese, e si era trasferito in Canada con la sua famiglia quando aveva appena quattro anni.
Si può dire che da allora ha sempre viaggiato. Il suo lavoro, infatti, lo portava nei posti più diversi. Inghilterra, Nigeria, Stati Uniti, Tailandia. Se rileggo le sue mail faccio fatica ancora adesso a seguire la molteplicità dei suoi itinerari. A cadenza regolare scriveva resoconti agli amici delle sue attività. Amici di ogni parte del mondo. Perché ovunque andasse, era in grado di stringere rapporti affettivi. Lo faceva senza sforzo. Facile per lui voler bene, facile volergli bene.
Fra le sue tappe, c'era anche l'Italia.
Ho conosciuto Vincent quando ero molto giovane. Arrivò a Roma per una conferenza sulla delinquenza minorile, argomento di cui dire che fosse un esperto è semplicemente riduttivo. Non prese alloggio in albergo: dormiva al carcere minorile di Casal del Marmo. Penso che questo dica molto di lui.
Dice altrettanto di lui il fatto che, quando venne a trovarci direttamente dall'aeroporto, la sua valigia fosse carica di regali. Gli chiesi per chi fossero, e lui mi rispose che erano semplicemente cose che gli erano piaciute e che le aveva prese per quel motivo. Fra i doni c'era un aeroplano di plastica bianco e azzurro con il logo KLM, la compagnia di bandiera olandese, che troneggiava su una scatola di cioccolatini: quando gli rivelai che volevo studiare l'olandese lo tolse dalla valigia e me lo regalò. Vedi, mi disse, quando viaggio io prendo le cose più diverse perché so che prima o poi troveranno sempre il loro destinatario.
Fra i destinatari c'erano anche le mie zie. Zia Margherita era la sua madrina, e lui non mancava mai di telefonarle, ovunque fosse. "Vincenzo, ma dove sei!" "A Kuala Lumpur!" "E dov'è!" "In Malesia!" "Uh, lasse sta', non voglio sapere niente. Stai bene?" "Sì, sto bene, sto bene."
Stava sempre bene. Qualunque fosse la situazione. Quando rimase in Nigeria tre anni per conto del British Council spesso lo cercavamo, ci spaventava che fosse in un luogo dove gli scontri erano quasi all'ordine del giorno. Lui richiamava e ci tranquillizzava. Il suo atteggiamento era sempre serafico e concreto.
Aveva la capacità di analizzare ogni contesto in cui si trovasse, e di studiare la soluzione migliore perché si potesse intervenire in modo positivo. In Nigeria, fra le mille cose, ideò un programma per promuovere i diritti delle donne attraverso la Shari'a, la legge islamica. Un'idea che per un occidentale sarebbe folle. Ma Vincent, perfettamente immerso nel contesto, aveva capito che era il modo più adatto per migliorare in loco la condizione femminile senza che vi fossero frizioni.
Sapeva che imporre qualsiasi cosa dall'alto non serve a nulla. Anche questo dice molto di lui.
I momenti più belli nella mia memoria sono gli incontri al paese. Quando poteva tornava lì, per ritrovare le atmosfere di quando i suoi genitori erano "young lovers", giovani innamorati. Era spesso ospite delle zie, con cui comunicava in una singolare mescolanza di italiano, dialetto ed espressioni tradotte letteralmente dall'inglese, di fronte alle quali la zia Margherita scuoteva benevolmente la testa. Scuoteva la testa anche di fronte ai doni che portava: un servizio da caffè azzurro cielo acquistato in Arabia Saudita, una tela dipinta che ritraeva pastori nigeriani con i loro armenti e che Vincent fece personalmente incorniciare perché le zie potessero direttamente appenderla, senza l'impiccio di dover provvedere al riguardo. La sua concretezza si esprimeva nelle cose piccole come in quelle grandi. E si esprimeva sempre con un sorriso.
Il sorriso è la prima cosa che mi viene in mente quando penso a lui. Insieme al sorriso, il tono della voce, un basso profondo che spesso esplodeva in una risata. Ho sempre odiato l'aggettivo "solare". Ma è quello che forse riassume meglio Vincent, il fatto che in qualunque luogo si trovasse fosse capace di riempirlo di luce e di allegria.
Forse perché la mia prima memoria di Vince è legata a qualcosa che aveva a che fare con l'Olanda, stamattina leggendo la mail di Pietro ho sentito nella testa una canzone olandese. L'autore è Youp van't Hek, un cabarettista. Si chiama "Waarom gaan de verkeerde mensen dood". Vorrei farvela ascoltare, ma online non è disponibile. Una piccola canzone per voce e piano.
"Waarom gaan de verkeerde mensen dood?
Waarom zit God zich steevast te vergissen?
Hij haalt steeds degenen die ik niet kan missen,
En dat aantal is inmiddels veel te groot..."
("Perché sono le persone sbagliate a morire? Perché Dio fa sempre errori? Si porta via quelli di cui non posso fare a meno, e ormai sono davvero troppi...")
Non voglio pensare alle vicende delle ultime settimane.
Voglio pensare a ciò che provavo ascoltandolo, o leggendo le sue mail. Piene di aneddoti sul suo lavoro e sulla vita quotidiana, di sense of humour, di intelligenza, di fotografie che lo ritraevano in viaggio, che mostravano luoghi, fiori ripresi in giardino o nei parchi, i suoi gattini, sua moglie.
Tutto questo resta, e mi parla di una vita veramente vissuta, e vissuta all'insegna dell'amore.
Continuerà a parlarmene finché vivo.
L'amore è più forte della morte.