29 ottobre 2015 di Redazione
di Gianfranco Mele
A questo punto il Caraccio ipotizza una destinazione d’uso (ricovero per animali) non suffragata però da alcun dato o testimonianza obiettiva. Oltretutto, si sa, questo genere di luoghi, cavità naturali plasmate, rimodellate e adattate dall’uomo per sue finalità specifiche, nel tempo hanno subito utilizzi diversi: da luoghi di culto a depositi, o rifugi, o nascondigli durante incursioni, ecc.ecc..
Due attuali informatori, mi raccontano che durante la loro infanzia hanno frequentato la zona della grotta essendo i genitori proprietari di terreni nei paraggi. Il primo afferma di avere un ricordo sbiadito della grotta ma di esservi disceso (nonostante le raccomandazioni degli anziani di non avvicinarsi all’ “occhiatura“) per poi tornare rapidamente in superficie. Il secondo racconta: “da piccoli ci raccomandavano di non avvicinarci in quella zona proprio perché c’era “un buco nero”, almeno così ci diceva mio zio; ovviamente per noi era come una calamita quel posto infatti ci giravamo sempre intorno”. La seconda testimonianza in particolare, dimostraquanto la grotta in questione suscitasse paure e suggestioni nella gente di Sava e di come la sua frequentazione fosse considerata un tabù: fatti che devono aver generato la decisione dell’ ostruzione dell’ingresso. Ma cosa celano davvero la grotta e l’ambiente circostante, al di là delle favole? L’indagine archeologica sul sito specifico di Scerza è praticamente nulla, ma sappiamo da studi pubblicati che la adiacente contrada Petrose è stata oggetto di frequentazione sin dal Neolitico, con insediamenti successivirapportabili al periodo della colonizzazione romana, alle presenze dei Monaci Basiliani, e, a seguire, fino al periodo del feudalesimo moderno.
Le leggende popolari riferiscono di un tesoro custodito nella grotta: la Campana d’Oro. Si tratta di una leggenda ricorrente in varie località italiane: in Salento la si ritrova ad esempio presso la Serra di Poggiardo, ma si trova anche a Santa Margherita Ligure e a Volastra in Liguria, a Sassalbo in provincia
la leggenda della Campana d’Oro di Scerza si è sviluppata in versioni differenti. Un elemento che ho raccolto personalmente come costante nei racconti e nei ricordi degli anziani, è quello che questa grande campana fosse “custodita dal diavolo”.
Il Caraccio riporta due versioni, mentre io stesso ne raccolsi, decenni fa, una terza. La prima versione raccolta dal Caraccio è la seguente: “si raccontava che a mezzanotte suonava come una specie di campana e uscivano gli spiriti”. La seconda: “l’altra leggenda parlava di “un’occhiatura”, cioè di un tesoro nascosto per entrare in possesso del quale bisognava fare offerta di un neonato di tre giorni. Una volta lasciato questo bambino sarebbe suonata la campana e si sarebbe aperta una cavità dove si sarebbe trovato questo “tesoro”.
La seconda versione riportata dal Caraccio ha una grossa affinità con una leggenda riportata dalle genti di Manduria e ambientata ne “ lu Scegnu”, il Fonte Pliniano: è identico il particolare della macabra offerta del bambino finalizzata a fare apparire il “tesoro”, che in questo caso è la “chioccia con i pulcini d’oro”, altro elemento ricorrente in molte località italiane (epresente anche a Sava presso un’altra grotta, situata in contrada Grava).
Sul finale della storia ho raccolto due varianti: una è che il pastore, una volta ridisceso, non può appropriarsi della campana perchè in quel frattempo è magicamente scomparsa, l’altra è invece che l’uomo, dopo aver temporaneamente abbandonato l’antro, non può neanche ridiscendere, perchè “l’ imboccatura della grotta si chiude”.
Una leggenda identica a quella di Scerza è riportata in riferimento ad un altro sito non molto distante, sul litorale di Maruggio, nella località attualmente denominata “Madonnina dell’ Altomare”. La “Madonnina” è una cappelletta che sorge su una collinetta posta sulle dune, a poca distanza dal mare. Bianca Capone, una scrittrice che aveva una casa posta quasi di fronte alla chiesetta della Madonnina, racconta: “I vecchi di Maruggio dicono che nelle viscere della collinetta è nascosto un tesoro. La fantasia popolare ha ricamato una trama leggendaria, che riporto così come mi è stata narrata. Un giorno un pastorello, che stava pascolando il gregge nei pressi della Madonnina, salito sulla sommità dell’altura, scorse di lontano un antro. Si avvicinò e vide una scalinata, scavata nella roccia che scendeva nell’interno. Spinto dalla curiosità scese i gradini e si trovò ben presto in un tempio sotterraneo dove c’era ogni ben di Dio: collane, anelli, pietre preziose e perle a bizzeffe. Ammaliato da tanto splendore, il pastorello si gettò dentro quel mare d’oro e d’argento. Ma sul più bello udì una voce dall’esterno che gridava: «al lupo!» Resosi conto del pericolo, risalì alla superficie, ma si avvide che il lupo non c’era e che le sue pecorelle pascolavano tranquillamente sulle pendici della collinetta. Allora corse nuovamente verso l’entrata della caverna, ma non la trovò: era sparita come per incanto!”
Le leggende popolari spesso costituiscono una interpretazione fantastica, una rielaborazione di notizie e caratteristiche reali, relative ai luoghi a cui si riferiscono, e per questo sono da utilizzare come importanti indizi. Il “diavolo” è messo in relazione con le antiche divinità pagane venerate in quei luoghi, e ne costituisce una reinterpretazione, e i “tesori” favoleggiati sono spesso da relazionare ad effettivi resti di elementi “preziosi”, cultuali, funerari o votivi, presenti in quegli spazi.
Nei siti che ospitano queste leggende, in genere in antichità sorgevano luoghi di culto o sepolcreti o insediamenti. Come il già citato Fonte Mandurino luogo sacro alle divinità messapiche, la collinetta della Madonna dell’Altomare ospitava, in antichità, un tempio dedicato ad Artemis Bendis, la qual cosa è testimoniata da scavi iniziati nel 1968 e proseguitiseppur sporadicamente negli anni successivi,durante i quali sono stati rinvenuti i resti di un edificio e di un recinto sacro, una stipe votiva, ceramiche, e una serie di terrecotte raffiguranti la divinità (complessivamente, i ritrovamenti sono stati fatti risalire a un arco temporale che va dal VI al IV sec. a.C).
Quello che ci suggeriscono tutti gli elementi sin qui raccolti è che il sito di Scerza con la sua grotta è stato sicuramente oggetto di “vissuti” in diverse epoche storiche e che in esso, e nei dintorni, si sono sviluppati insediamenti, culti, e vicende che poi hanno generato le leggende giunte sino a noi. E’ importante dunque indagare su questa località e sarebbe prioritario riportare alla luce l’antica grotta, che insieme ad una accurata analisi dei luoghi potrebbe permetterci di ricostruire fatti e vicende legati allla storia antica del sito e alle sue caratteristiche.
BIBLIOGRAFIA
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Scerza: cappella
Scerza: zona grotta “Campana d’Oro”
Scerza: l’ imboccatura (ostruita) della grotta
Scerza, zona grotta
demone custode di tesori in una antica raffigurazione
Scerza: particolare di una muraglia a secco