Luang Prabang, la processione all’alba

Creato il 28 novembre 2014 da Patrickc

Viaggio in Laos: il tak bat, una cerimonia struggente, come scriveva Terzani, ma diventata così famosa da rischiare di sparire (3-continua)

L’elenco di raccomandazioni affisso fuori dal tempio è lungo e tradotto in varie lingue. Lo leggo con un po’ di sorpresa: non vestitevi in modo non decoroso, non partecipate se non siete buddisti, non usate il flash, mantenete una distanza rispettosa dai monaci, non toccateli, trovo addirittura non… seguite i monaci da un bus. Questa la rileggo un paio di volte prima di capire e l’immagine mi sembra ridicola, più di tutte le altre. Ma questo foglio fotocopiato non si ferma qui e prosegue con altre raccomandazioni. Penso che una serie di divieti così minuziosi e ridondanti sia superfluo, mi ricorda i fogli che si trovano negli alberghi, con una serie di divieti assurdi tradotti in inglese stentato che ci fanno immancabilmente ridere. Alcune di queste situazioni a immaginarle, anche solo a pensarle, sembrano surreali. Seriamente, a chi verrebbe in mente di presentarsi in canottiera o minigonna durante una secolare cerimonia religiosa, di toccare o abbracciare i monaci o addirittura di inseguirli con un mezzo di trasporto, anche solo una bicicletta se non proprio un bus? Non seguite i monaci dal bus, c’era scritto. Magari la traduzione era approssimativa e si intende un bus fermo ma no, non me lo sono sognato penso mentre entro nel tempio, il Wat Xieng Thong.

Il rito del tak bat

Quel foglio (simile a questa pagina) riguarda la famosa questua mattutina di Luang Prabang, il tak bat, nella quale i monaci raccolgono il riso dai fedeli che li attendono inginocchiati lungo la strada. Un momento descritto come struggente da Tiziano Terzani in Un indovino mi disse. Questo rito – e non bisogna dimenticare che è una cerimonia religiosa – si svolge in tante città del Laos, ma qui nell’antica capitale, diventa particolarmente toccante e spettacolare anche semplicemente per la scala, le dimensioni impressionanti. Una grandissima quantità di monaci, centinaia (migliaia?), esce dai numerosi templi, sparsi in modo disordinato per la città (citando sempre Terzani), nel momento in cui le guglie cominciano a brillare, illuminate dalle prime luci del giorno. Una moltitudine di vesti color zafferano esce in un profondo silenzio da strade e vicoli e si riversa nel corso principale che taglia Luang Prabang. Davanti ci sono i monaci più anziani, poi i novizi, alcuni assonnati e apparentemente svogliati, anche se perfettamente composti. Del resto molti sono poco più che bambini. Ma per cogliere le espressioni, scomporre la moltitudine in più gesti bisogna concentrarsi perché altrimenti prevale il flusso: è uno stretto torrente giallo-arancione, silenzioso e ipnotico, che ispira rispetto.

Luang Prabang, i monaci danno parte delle offerte ad alcuni bambini (foto di Patrick Colgan, 2014)

Luang Prabang, i monaci danno parte delle offerte ad alcuni bambini (foto di Patrick Colgan, 2014)

Tak bat, Luang Prabang (foto di Patrick Colgan, 2014)

Tak bat, Luang Prabang (foto di Patrick Colgan, 2014)

Non sono nemmeno le 6 di mattina, ma il pubblico è già pronto. Quando arriva la lunga fila silenziosa di monaci è accolta da un collo di bottiglia formato dai tuk tuk ammassati in fila lungo le strade, bus, plotoni di stranieri con le macchine fotografiche, fra i quali ci siamo anche noi due. Non ci sono solo stranieri in questo caos. Anche i laotiani si sono dati da fare per sfruttare questo momento e quindi è un pullulare di banchetti che vendono riso glutinoso e piccoli snack confezionati da offrire durante la cerimonia. Perché il pubblico non si limita a osservare in silenzio, come si farebbe in chiesa o in un tempio. C’è chi fotografa usando il flash (andrebbe bandito) a due passi dai monaci, chi si avvicina a pochi centimetri senza alcuna necessità. Ache io mi accorgo di essermi avvicinato troppo e faccio alcuni passi indietro. Non ho bisogno di stare così vicino. Poi vedo addirittura dei ragazzi occidentali – sicuramente non buddisti – che si mescolano ai devoti che fanno offerte. Non manca chi si fa il selfie col fiume di monaci sullo sfondo o chi, dopo aver consegnato il riso, ancora inginocchiato, estrae una macchina fotografica. No, non ci sono bus che inseguono i monaci, ma l’idea non mi sembra più così assurda.

L’unico modo per assistere a questa semplice ma spettacolare cerimonia, credo, è quello di cercare di estraniarsi, di dimenticare quello che sta attorno a noi, lasciarsi trasportare dal ritmo irregolare dei monaci in processione, concentrarsi sul tutto, invece che sui particolari che avrebbero il potere di riportarci immediatamente alla realtà. Affidarsi al flusso. Lasciare, almeno noi, la macchina fotografica silente dopo i primi scatti – cosa potrebbero aggiungere le nostre immagini alle migliaia di foto che vengono scattate ogni mattina? – e cercare di apprezzarne almeno la bellezza estetica e, se non riusciamo a cogliere la spiritualità – così diversa dalla nostra-, pensare a un filo che unisce quello che stiamo vedendo agli anni, decenni, secoli prima di noi. Perché, nonostante tutto la cerimonia, è ancora bellissima e intensa ed è un pezzo di storia che continua a vivere davanti ai nostri occhi.

Tak bat, Luang Prabang (foto di Patrick Colgan, 2014)

Tak bat, Luang Prabang (foto di Patrick Colgan, 2014)

E proprio per questo il tak bat va rispettato e difeso. Il comportamento di alcuni turisti l’ha messo addirittura a rischio e il governo – così si legge – ha addirittura preso in considerazione l’idea di interrompere questa tradizione.

Le alternative

Non tutti lo sanno ma la processione del tak bat non si svolge solo a Luang Prabang (e non solo in Laos). Si svolge in molti paesi e cittadine a maggioranza buddista. A volte i monaci sono pochissimi, addirittura uno solo (come a Muang Ngoi), altre volte alcune decine. A Muang Khua, cittadina a nord lungo il Nam Ou, il rito è particolarmente suggestivo, con i monaci che ogni tanto si fermano e recitano delle preghiere per i fedeli. A Muang Khua abbiamo provato a svegliarci alle 5, senza sapere se la cerimonia si sarebbe svolta, e siamo scesi in strada. E abbiamo trovato quello che era mancato a Luang Prabang. Il silenzio, il rispetto, la devozione, una cerimonia semplice ma toccante. E nonostante ci fossero diversi turisti in città eravamo gli unici occidentali presenti a quell’ora. Uno dei ricordi più vividi di tutto il viaggio.

Il tak bat Muang Ngoi, una delle pochissime foto rimaste di quel giorno dopo la distruzione del mio telefono

Tak bat,Muang Khua (foto di Patrick Colgan, 2014)

 Gli altri post sul Laos:

  1. Vientiane, una mattina al Buddha park
  2. A Luang Prabang (una visione d’insieme e informazioni generali)

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