Di poetry slam ci siamo già occupati in passato, nel 2009/2010 (qui e qui). Fa bene Luca Chiarei a richiedere di nuovo un’attenzione non scolastica verso questo fenomeno di ricerca contemporanea, che viene condotta soprattutto da giovani ai bordi del mondo della poesia “ufficiale” (per lo più scritta). Qui si tenta di reintrodurre in poesia oralità, spettacolarità e emotività. Evviva allora i giovani e la spontaneità? Andiamoci piano. Se è vero, infatti, che la distinzione in astratto tra poesia e non poesia è discutibilissima, è anche vero che il pluralismo del “tutto fa brodo” contrappone spesso alle arcigne (e a volte miopi) distinzioni accademiche della tradizione solo una lassista e confusa cacofonia. Il fenomeno ha potenzialità e rischi. Discutiamone. [E.A.]
E’ uscito in queste settimane il III volume dell’antologia “incastRIMEtrici” a cura d Marco Borroni Edizioni Apogeo, che raccoglie la produzione in versi che si può leggere, ma soprattutto ascoltare, all’interno degli eventi di slam poetry che si svolgono in Italia. Un libro, come quelli che l’hanno preceduto, segno di una tendenza che, sia per quantità e tipologia dei soggetti coinvolti sia per qualità dei testi proposti (non tutti ovviamente), merita una riflessione critica che collochi il “prodotto” nel più ampio panorama poetico italiano.I registri espressivi sono vari: nella prima parte troviamo una serie di autori che scrivono in versi “classici”, anche se finalizzati alla loro declamazione orale e “performativa”; nella seconda la fanno da padroni gli autori che utlizzano come codice espressivo versi declinati sui ritmi del rap e dell’hip hop.
Di questo credo che la prima considerazione da fare sia prenderne atto. Una discussione che ponga la questione se il rap e l’hip-hop si possano collocare all’interno della poesia e/o si possano considerare manifestazioni letterarie non mi pare particolarmente interessante. Come per qualsiasi altra forma letteraria si tratta di entrare nel merito, nella qualità del testo sia come forma sia come contenuto e da questo formulare il giudizio critico.
Ritengo, forse banalmente, che la p/P-oesia – con maiuscola o minuscola che sia -, non è definibile una volta per tutte ma sempre declinabile al plurale; di conseguenza se non vi sono sistemi metrico-decimali che misurano la “vera poesia”, “incastRIMEtrici” rappresenta una manifestazione della contemporaneità che non avrebbe molto senso continuare ad ignorare considerandola solo un “fenomeno”, rilevante esclusivamente nell’ambito “underground” (?!) che lo produce.
Prendere atto dicevo prima ma allo stesso tempo discuterne, di fronte al caleidoscopico moltiplicarsi di cifre poetiche proprie di questo testo, e magari anche contrastare la tendenza per la quale dietro il facile slogan che tutto è poesia, le stesse si moltiplicano all’infinito.
I testi spaziano tra l’endecasillabo, verso libero e la rima agli otto tempi del rap, versi ovviamente che lavorano molto sul suono giacché finalizzati alla loro esecuzione orale, che in fondo è la radice prima della poesia. Interessante notare a questo proposito che se la poesia nasce orale la principale manifestazione della contemporaneità in poesia, ritorni in qualche modo al punto iniziale.
Sul piano dei contenuti in molte poesie trovano spazio quegli elementi della realtà quotidiana che, per semplificare, poetica non è. Certamente la dimensione del quotidiano è l’asse portante ma non ha solo la cifra dell’esperienza personale, sentimentale o intimistica ma anche quella segnata dalla precarietà economica generale, dallo sfruttamento nei luoghi di lavoro, dalla volontà di uscire dal pensiero unico dei modelli culturali imposti.
Dicevamo prima che questo versificare trova nel contenitore comune dello slam il suo minimo comun denominatore, cioè quell’ambito nel quale la poesia è messa “in gioco” in senso letterale, e proposta non solo per l’ascolto passivo del “pubblico” ma anche al suo giudizio immediato di mente, di cuore e anche di pancia.
La “competizione” insita nello slam (una delle possibili forme nelle quali fruire poesia), da una parte è senz’altro una semplificazione della funzione critica, ma dall’altra ha il pregio, a mio parere, di mettere in discussione il poeta che deve accettare di essere giudicato a prescindere dalle amicizie di chi lo conosce personalmente. Accetta di farsi ascoltare dalla “gente”, dalla moltitudine senza garanzia di competenza. Molti testi validi letti in maniera piatta potranno essere non apprezzati a differenza di altri che supportati da arte oratoria colpiranno solo emotivamente il pubblico; ma questo non è quello che avviene anche quando si pubblica un testo poetico? E’ vero che quel libro forse lo troveremo inserito negli scaffali della poesia della libreria di turno, ma certamente non ci sarà l’avviso che lo potranno leggere solo i “veri” lettori e conoscitori di poesia.
Allora mi chiedo, provocatoriamente forse, se a fronte di una fruizione della poesia collocata a volte in reading nei quali si effondono atmosfere evocative spiritualeggianti e romantiche – e una lettura e un applauso non si negano a nessuno -, lo slam poetry possa anche essere interpretato come un possibile esercizio collettivo della funzione critica confinata spesso alla porta di tante situazioni. Dalle interviste che introducono ai testi , per quanto resti da verificarne gli sviluppi, questa riflessione pare emergere. In ogni caso mi auguro che questo libro sia una occasione di contaminazioni reciproche, che non ci si chiuda ognuno nel proprio ambito e circolo. In questo senso mi lascia qualche perplessità la scelta di molti amici conosciuti e stimati in questo ambito che si adoperano con grande impegno alla costituzione di una vera e propria federazione nazionale degli slam poetry con tanto di regolamenti, statuti e codici che formalizzano come si deve fare o meno uno slam. Qual è il bisogno e soprattutto l’obiettivo di questa scelta? Forse garantire la qualità degli autori, dei loro testi, contenuti, performances? Non corriamo il rischio di fare rientrare dalla finestra quello che si è fatto uscire dalla porta, cioè l’idea di una critica, e dunque giudizio di merito, come scienza esatta, oggettiva che valuti la poesia in maniera “metrico-decimale”? E non perderemo anche la spontaneità e l’entusiasmo di tante situazioni in favore di un nuovo manierismo della performance? Vedremo…
APPENDICE
Un esempio di testo da slam poetry. L’autore è Simone Savogin:
Vivi di vividi lividi,
scrivi di avidi avi,
ed eviscera sciarade.
Scivola via dall’atavica asfittica asetticità di uomo pensante
rinchiuso in passanti per cinghie pesanti.
Sorpassa il surplus di spossanti passati,
soppesa possibili passi
e sopprimi i primi possenti spessori.
Passami spasmi pulsanti pigiando su palmi,
premendo pulsanti nascosti.
Nasci in nuovo lucore, splendente nitore di liscio nuotare in liquide ore.
Levita ed evita nuvole, viola il viola nativo del sole.
Vaga viaggiando per valli e veleggiando per voli,
avvicinati a ville e vaglia favelle,
sfavilla in flebili flussi di fatui fuochi,
sortilegi per pochi, buchi di favola per fervide menti,
menti a te stesso per sentirti migliore,
macina miglia senza mai mendicare,
indica mari,
monta su monti simili a magli scagliati da maghi ammaliati da laghi.
Lava il mio corpo di esile vile, leva la lava dal vello del verro che impersono,
io che avallo frastuono,
non valgo un suono,
non voglio ma sono,
spegni il valore del fulcro, attaccato col velcro al semicerchio del simulacro,
simula voglia di veglia passata a vigilare su voglie di vaniglia,
attorno a falò estivi, di braci ed abbracci, con brividi impavidi, con baci rubati col bere.
Sbriga consegne, consegna breviari,
consolida maestria con solida bramosia,
brevetta consigli, confeziona brutture ed accetta sconfitte,
sconfina in finali felici, ascolta fanatici e strofina felini fenici,
sconvolgi feticci futili ed infine comprendi il fervore
dell’amaro sapore del:”fa male guardarsi fallire”.
È facile vestirsi di riconosciuta bravura,
non fa che arricchire speranze (che in te son paura),
accresce richieste ed avvalora rimpianti,
ma aumenta la delusione altrui,
quando nudo e rachitico dimostri il mediocre che sei,
rammenta mio piccolo
ricorda Riccardo:
sii sempre ciò che sei, ma soprattutto sappi opinare solipsismi, perchè
“prendersi sul serio è l’unica arma di chi non sa costruir talenti da doti”.